Una stanza tutta per sé
“Finché
scrivete quello che volete scrivere, questo è ciò che conta, e, se conti per
secoli o per ore, nessuno può dirlo. Ma sacrificare un capello della testa
della la vostra visione, una sfumatura di colore, in ossequio a qualche
Direttore scolastico, con una coppa d’argento in mano, o a qualche professore
con il suo righello nella manica, è il tradimento più abbietto, e la perdita
della fortuna e della castità, che a quanto si diceva era il più grande dei
disastri umani, in confronto non è che un morso di pulce”.
“Poiché
si tratta di un fatto, che non c’è un solo braccio al quale appoggiarsi, ma che
dobbiamo fare la nostra strada da sole e che dobbiamo essere in relazione con
il mondo della realtà e non soltanto con il mondo degli uomini e delle donne,
allora si presenterà finalmente l’opportunità, e quella poetessa morta, che era
la sorella di Shakespeare [2], ritornerà al corpo dal quale tante volte ormai
ha dovuto spogliarsi. Attingendo la sua vita dalla vita di quelle sconosciute
che l’hanno preceduta, come prima di lei fece suo fratello, nascerà la
poetessa. [3] E offrirle questa opportunità, a me sembra comincia a dipendere
da voi … Ma che lei possa nascere senza quella preparazione, senza quello
sforzo da parte nostra, senza la precisa convinzione che una volta rinata le
sarà possibile vivere e scrivere la sua poesia, è una cosa che davvero non
possiamo aspettarci perché sarebbe impossibile. Ma io sono convinta che lei
verrà, se lavoreremo per lei, e che lavorare così, anche se in povertà o
nell’oscurità, vale certamente la pena”.
Virginia
Woolf, Una stanza tutta per sé

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