Annie Ernaux. La memoria letteraria

 

Talvolta alzo la testa dal foglio, esco da questo sguardo rivolto verso l’interno che mi rende indifferente a tutto ciò che mi circonda. Mi vedo come potrebbe osservarmi qualcuno da fuori, dalla stradina a strapiombo che costeggia la cortina di abeti; seduta a un tavolino spinto sotto la finestra alla luce di una grossa lampada. Immagine convenzionale, che piace (spesso mi è stato chiesto di mettermi in questa posa per i giornali o la televisione). Mi domando cosa possa significare che una donna si metta a ripercorrere scene risalenti a più di cinquant'anni prima alle quali la sua memoria non può aggiungere nulla di nuovo. Quale convinzione la sostiene, se non quella che la memoria sia una forma di conoscenza? E quale desiderio c'è, oltre a quello di capire, in questo accanirsi a cercare, tra le migliaia di nomi, verbi e aggettivi, quelli che diano la certezza, o l'illusione, di aver raggiunto il più alto grado possibile di realtà? Se non la speranza che tra questa ragazza, Annie D, e qualunque altra ci sia almeno una goccia di somiglianza?

 

A che scopo scrivere, d'altronde, se non per disseppellire cose, magari anche una soltanto, irriducibile a ogni sorta di spiegazione — psicologica, sociologica o quant'altro —, una cosa che sia il risultato del racconto steso e non di un'idea precostituita o di una dimostrazione, una cosa che provenga dal dispiegamento delle increspature della narrazione, che possa aiutare a comprendere — a sopportare — ciò che accade e ciò che facciamo.

 

Ho iniziato a far di me stessa un essere letterario, qualcuno che vive le cose come se un giorno dovessero essere scritte.


Annie Ernaux, Memoria di ragazza



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