Simone de Beauvoir, L’età forte
Quando
avevo conosciuto Sartre, avevo creduto di aver raggiunto tutto; accanto a lui
non avrei potuto mancare di realizzarmi; adesso mi dicevo che riporre la
propria salvezza su qualcuno che non sia noi stessi è il più sicuro mezzo di
correre alla propria perdita. Ma insomma, perché questi rimorsi, questi
terrori? Io non ero certo una femminista militante, non avevo alcuna teoria
circa i diritti e i doveri della donna; come in altri tempi avevo rifiutato di
essere definita “una bambina”, adesso non mi pensavo come “una donna”: ero io,
ma era proprio per questo che mi sentivo in colpa. L’idea di salvezza era
sopravvissuta in me alla sparizione di Dio, e la prima delle mie convinzioni
era che ciascuno doveva provvedere personalmente alla propria. La contraddizione
di cui soffrivo era non già di ordine sociale, ma morale, e quasi religioso.
Accettar di vivere come essere secondario, come essere “relativo” sarebbe stato
abbassarmi in quanto creatura umana; tutto il mio passato insorgeva contro
questa degradazione.
Simone
de Beauvoir, L’età forte
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