Sulle pratiche femministe
“Quando
ho iniziato a occuparmi di femminismo francese nei primi anni '80, penso non
fossi affatto interessata a lei (Luce Irigaray) perché mi sembrava
un'essenzialista, un termine che allora usavamo con molta facilità, quando
pensavamo di sapere cosa significasse. Alla fine degli anni '80, ho iniziato a
riconsiderare le mie obiezioni nei suoi confronti e ho scoperto che, tra le
teoriche femministe che avevo letto, era forse la più esperta di filosofia e
che il suo approccio alla filosofia era un curioso mix di lealtà e aggressione.
Ed è diventata molto interessante, per me, quando ho iniziato a riflettere
sulla sua pratica della mimesi critica - come si approcciava quando leggeva
Freud, o quando leggeva Platone - e ho letto Speculum più e più volte,
spaventata dalla sua rabbia, affascinata dalla vicinanza della sua lettura,
confusa dal mimetismo del testo. Era schiava di questi testi, li stava
sostituendo radicalmente, o era forse intrappolata nell'essere in entrambe le
posizioni allo stesso tempo? E ho capito che qualunque cosa fosse per lei il
femminile, non era una sostanza, non era una realtà spirituale che potesse
essere isolata, ma aveva qualcosa a che fare con questa strana pratica di
lettura, in cui lei leggeva testi che non era autorizzata a leggere, testi dai
quali era esplicitamente esclusa o esplicitamente sminuita in quanto donna, e
che lei leggeva comunque. E allora la domanda è: cosa significherebbe leggere
da una posizione di radicale disautorizzazione per smascherare l'autorità
contingente del testo? Mi è sembrata una pratica critica femminista, una
pratica di lettura critica che io potevo imparare e, da quel momento in poi ho
iniziato a leggerla in modo piuttosto approfondito”.
Judith Butler
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