Il filo perduto. Quando le donne non avevano voce. Il documentario di Flavia Caporuscio e Alessandro Scillitani

“L’histoire des femmes est une histoire du silence”, scriveva Michelle Perrot nel suo saggio Les femmes ou les silences de l’Histoire, denunciando la sistematica esclusione delle donne dal racconto storico ufficiale. Più che assenti, le donne sono state attivamente silenziate: confinate ai margini, dimenticate, archiviate fuori campo. Il loro contributo alla cultura, alla politica, alla scrittura è stato spesso reso invisibile da pratiche di potere che hanno selezionato cosa fosse degno di memoria e cosa no. A distanza di oltre vent’anni, quella riflessione resta drammaticamente attuale, soprattutto se accostata all’appello visionario di Hélène Cixous in Le rire de la Méduse, dove l’autrice invita le donne a riprendersi la parola, a scrivere sé stesse, a produrre memoria oltre le griglie del logos patriarcale. Per Cixous, scrivere è atto sovversivo, gesto di riappropriazione della propria storia per immettersi nella Storia. Un tale processo di riemersione e riscrittura lo rintraccio nel lavoro dell’editrice e saggista Luciana Tufani, che, dagli anni Ottanta, ha dato, e continua a dare, voce a generazioni di autrici dimenticate o mai pubblicate. Il suo lavoro ha ricucito fili spezzati, ha reso accessibili testi relegati ai margini dagli archivi ufficiali. Un’operazione profondamente politica: un atto di restituzione e giustizia della memoria femminile contro una cancellazione che affonda le radici nei dispositivi del potere patriarcale. Un lavoro similare, nato negli stessi anni di quello di Tufani, viene intrapreso dal gruppo filosofico Diotima con la riscrittura stessa del senso della storia, a partire dalla differenza sessuale. In Il pensiero della differenza sessuale, le studiose di Diotima propongono un rovesciamento della logica maschile proponendo una prospettiva che costruisce, che si fa portavoce di una nuova genealogia femminile. Il pensiero della differenza non è chiusura identitaria, ma apertura trasformativa, capace di creare spazi inediti per una storia altra: una storia plurale, scritta dalle donne, che non si aggiunge alla narrazione dominante, ma la decostruisce.


È in questa linea di continuità teorica e di azione concreta che ho letto, e qui mi sembra che si possa inscrivere, Il filo perduto. Quando le donne non avevano voce, il progetto cinematografico di Flavia Caporuscio e Alessandro Scillitani. Il filo perduto è il documentario che costruisce una riflessione visiva e collettiva sulla memoria femminile, prendendo avvio da un simbolo potente: il lenzuolo scritto da Clelia Marchi. Contadina mantovana, di Poggio Rusco, Marchi decide, dopo la morte del marito, di scrivere la storia della propria vita sul lenzuolo matrimoniale. Era l’unico supporto disponibile, e al tempo stesso diventava metafora del legame spezzato, del confine tra intimo e collettivo, tra silenzio e parola (oggi un libro dal titolo Gnanca na busia. Il romanzo di una vita scritta su un lenzuolo edito da Il Saggiatore, sul quale tornerò). Quella stoffa, che oggi è conservata all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, è un atto fondativo: un “grado zero” della narrazione autobiografica femminile, dove il gesto quotidiano si fa scrittura primaria, testimonianza irriducibile di una vita ai margini.



Il documentario di Caporuscio e Scillitani prende avvio proprio da questa scrittura, nata nel cuore della casa, fuori dai codici e dalle autorizzazioni del sapere ufficiale. E da qui si apre verso una coralità più ampia. Attraverso interviste raccolte nell’arco di dieci anni, il documentario dà voce a filosofe, studiose, scrittrici, intellettuali che, con linguaggi e approcci diversi, condividono un intento comune: ricucire una memoria lacerata, smontare il paradigma androcratico che ha strutturato la narrazione della civiltà occidentale.


In questo intreccio tra materia e simbolo, tra esperienza vissuta e memoria trasmessa, il documentario di Caporuscio e Scillitani non solo rende visibile l’invisibile, ma restituisce dignità e centralità a una genealogia cancellata.

 

Informazioni e dettagli:

Il filo perduto

Progetto di Flavia Caporuscio e Alessandro Scillitani

regia Alessandro Scillitani

Su Produzioni dal basso si può contribuire alla riuscita del film nonché alla sua distribuzione e diffusione.


Obiettivo primario del documentario è promuovere la consapevolezza di genere nelle giovani generazioni, portando sullo schermo l’altra metà della Storia sinora ignorata, quando non volutamente occultata. Per farlo sono state utilizzate come fonte primaria proprio le voci delle donne, messe a tacere per secoli e che qui trovano uno spazio d’ascolto grazie alle voci di altre donne, loro discendenti, che si sono impegnate nel disseppellire “il passato muto delle loro madri” (Luisa Muraro).


Interviste a (in ordine alfabetico): Beatrice Alfonzetti, Roberta Balestrucci, Novella Bellucci, Natalia Cangi, Eva Cantarella, Marina Caffiero, Flavia Caporuscio, Francesca Corrao, Benedetta Craveri, Laura Curino, Serena Dandini, Maria Paola Fiorensoli, Manuela Fraire, Patrizia Gabrielli, Mariangela Gualtieri, Francesca Koch, Alessia Lirosi, Loredana Lipperini, Dacia Maraini, Elisabetta Marino, Alina Marazzi, Melania Mazzucco, Monica Morini, Elisabetta Moro, Liliana Moro, Luisa Muraro, Michela Murgia, Giovanna Puddu, Liliana Rampello, Lidia Ravera, Fiorenza Taricone, Natascia Tonelli, Vittoria Tola, Chiara Vigo.


Parte delle donazioni sarà devoluta alla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, istituzione che raccoglie e conserva documenti autobiografici italiani in forma di diari, epistolari e memorie. Dentro gli archivi di Pieve ci sono storie di donne che non hanno mai avuto accesso alla scrittura e che attraverso il diario hanno lasciato traccia di sé.


 


Lascia un commento

Nessun commento:

Copyright by Sara Durantini. Riproduzione riservata. Powered by Blogger.