The Huffington Post all'italiana


Le recenti dichiarazioni di Lucia Annunziata, direttore editoriale dell' Huffington Post italiano, sono rimbalzate sulle testate giornalistiche online e cartacee e hanno sbigottito non pochi blogger e anche alcuni giornalisti. 

La linea editoriale che Lucia Annunziata ha voluto dare alla versione italiana dell' Huffington Post punta sulle hard news di politica, economia e società oltre alla correlazione tra voci comuni e voci autorevoli. Entrambe le voci, inserite nella colonna di sinistra, sono indice di un progetto tanto ambizioso quanto culturalmente innovativo. Eppure l'apertura mentale e la volontà di dare spazio anche alle voci comuni sembrano stonare con l'affermazione che ha lasciato riluttante parte della filiera editoriale-giornalistica. Mi riferisco alle parole spese dall'Annunziata proprio sui blogger (per il momento duecento, ma la sua intenzione è di toccare i mille) inseriti nel progetto editoriale: "i blog non sono un prodotto giornalistico, sono commenti, opinioni su fatti in genere noti; ed è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati".

Questa affermazione assume la forma di un autogol da parte della stessa Annunziata che, dapprima, esalta la qualità del giornale e poi afferma che (stando alle sue parole) gran parte della redazione sarà formata da "opinionisti" e non giornalisti.

Daniele Chieffi su Linkiesta ha tentato di capire come "concilia questo con la battaglia che il sindacato dei giornalisti sta conducendo per l’equo compenso", sottolineando che "forse il problema è che quelli sono blogger e non giornalisti. Se è così c’è molta miopia in questo atteggiamento. Far passare il concetto che si possa “contribuire” all’ informazione in maniera gratuita non fa altro che rafforzare la logica degli editori che pagano con una manciata di centesimi un articolo". Riccardo Luna, ricordato nell'articolo di Chieffi, ha parlato di "game changer".  

Ma forse sarebbe interessate sapere quali sono gli altri motivi, per Lucia Annunziata, per cui i blogger non possono essere pagati. Se si tratta di collaborazioni estemporanee relativamente a disparati argomenti forse si potrebbe spiegare la mancata retribuzione. A questo punto però entriamo nella sfera del giornalismo partecipativo e nella logica della visibilità. E in merito all'argomento Pino Rea su Lsdi ha spiegato che "la visibilità può essere un valore analogo al salario: immateriale ma in grado di produrre soldi, anche parecchi soldi (...)  E poi la visibilità è segno di appartenenza, rappresenta un forte elemento di inclusione all’ interno dei vari dispositivi (associazioni, partiti, salotti, club, ecc.) che producono potere sociale".

Tuttavia con Huffington Post si parla, come ha scritto Pino Rea, di "industria editoriale. Di profitti, lavoro, salari". Si parla di un progetto che punta su 5 milioni di euro in pubblicità entro tre anni.
A fronte di queste valutazioni, penso siano doverose ulteriori spiegazioni da parte di chi è a capo di questo nuovo progetto editoriale.

In Italia abbiamo tantissimi casi di ricercatori, studiosi ed esperti di vario settore che forniscono quotidianamente notizie autorevoli, in cui le fonti sono sempre citate ed esplicitate. Mi riferisco, per citare alcuni esempi, al blog di Pier Luca Santoro per quanto riguarda media e giornalismo, a Critica Letteraria per ciò che concerne la narrativa italiana e straniera, Errori di Stampa relativamente al precariato nel settore giornalistico. La lista potrebbe continuare all'infinito. 

Ma che cosa impedisce a un blogger di diventare giornalista o di intraprendere la carriera? Non c'è forse una difficoltà, a volte insormontabile, alla base del sistema giornalistico stesso? Di questo ho già avuto modo di parlare nell'articolo Digital Journalism: quale futuro e quali spazi per giovani giornalisti? in cui riportavo gli annunci di lavoro (se così si può chiamare) che circolano sulla rete alla voce giornalista/articolista/pubblicista e alcune considerazioni in merito. 

Allo stato attuale, di fronte a qualità ed esperienza, mi chiedo se davvero si possa porre un divario così forte tra giornalisti e blogger. 

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