Judith Godrèche porta Annie Ernaux al cinema con Mémoire de fille
Quando Judith Godrèche ha scelto di confrontarsi con Mémoire de fille, non ha soltanto abbracciato un libro, ha scelto di accogliere una ferita. Quella di Annie Ernaux, che affiora tra le pagine con la precisione dolente della memoria vera, sarà ora affidata allo sguardo cinematografico di Godrèche e al volto giovane di Maïwène Barthélémy. L’annuncio, reso pubblico tra giugno e luglio, anticipa l’inizio delle riprese previsto per questo autunno. A distanza di quindici anni dal suo primo lungometraggio, Toutes les filles pleurent, Godrèche torna dietro la macchina da presa per raccontare un’altra forma di silenzio, quello che si annida nelle prime esperienze, nei corpi che imparano a nominarsi.
Pubblicato da Gallimard nel 2016 e tradotto da L’Orma l’anno successivo, Mémoire de fille, a cui mi sento profondamente legata, rappresenta una delle tappe più nitide del percorso autosociobiografico di Annie Ernaux. L’estate del 1958 diventa il teatro di una prima separazione dal nido familiare: Ernaux, giovane educatrice in una colonia della Normandia, incrocia un incontro che le inciderà la pelle e l’anima. La materia narrativa è scabra e luminosa insieme. Si muove lungo i sentieri dell’identità, attraversa il corpo come campo di battaglia tra desiderio, vergogna e potere. E come sempre, la scrittura di Ernaux è chirurgica, quasi crudele nella sua essenzialità. Trasporre questo testo in immagini non è solo una sfida: è un atto di traduzione del dolore. E Judith Godrèche, con il suo sguardo sensibile e lucido, potrebbe restituire alla memoria il suo vero potere: quello di riscriverci, lentamente, mentre il tempo continua a scorrere.
La
scelta di Maïwène Barthélémy per interpretare la protagonista non è casuale, né
semplicemente artistica. Arrivata al cinema con Vingt Dieux, è stata una
delle rivelazioni più sorprendenti dell’ultima stagione, al punto da
conquistare il César 2025 come miglior rivelazione femminile. Il suo volto,
segnato da una Francia periferica, rurale, e da una corporeità autentica, mai
levigata, sembra parlare lo stesso linguaggio della scrittura di Ernaux, dove
il corpo è luogo concreto della memoria, della vergogna,
del desiderio. È in questo incontro tra carne e narrazione che si potrebbe
creare un contrappunto vibrante tra attrice e personaggio. Anche Judith
Godrèche, che in questo film firma non solo la regia ma anche la sceneggiatura,
arriva a questo progetto da un territorio personale e politico intenso. Negli
ultimi anni, la sua voce si è imposta come una delle più forti del movimento
#MeToo in Francia: tra denunce, testimonianze e il cortometraggio Moi aussi
(“all’improvviso, davanti a me c’era una folla di vittime, una realtà che
rappresentava anche la Francia, tante storie di ogni estrazione sociale e
generazione. Allora la domanda era: cosa ne avrei fatto? Cosa fai quando sei
sopraffatto da ciò che senti, dall’enorme volume di testimonianze?”, diciotto
minuti girati in una strada di Parigi riunendo un migliaio di persone, donne e
uomini, che come lei hanno subito abusi sessuali), Judith Godrèche ha scelto di
restare esposta, vulnerabile, e per questo ancora la sua voce e la sua arte sono
ancora più incisive. In questo contesto, la trasposizione di Mémoire de fille
non è solo un’operazione artistica, ma rappresenta un gesto necessario.
Raccontare la storia di una giovane che si confronta con il consenso, con il
desiderio e con lo sguardo sociale è oggi un atto profondamente politico, un
modo per restituire voce e corpo a un’esperienza che, ancora una volta, attraversa
il tempo per interrogarci sul presente.
L’adattamento
di Mémoire de fille si inserisce in un dialogo già vivo tra il cinema
europeo contemporaneo e l’opera di Annie Ernaux. Negli ultimi anni, la sua
scrittura, affilata, quotidiana, radicalmente intima, ha ispirato film e
documentari capaci di restituire la densità emotiva dei suoi testi. Passion
simple (2020) di Danielle Arbid, tratto da Passione semplice; L'Événement
(2021) di Audrey Diwan, Leone d’Oro a Venezia e trasposizione dell’omonimo
romanzo sull’aborto clandestino; J’ai aimé vivre là di Régis Sauder con la partecipazione e testi di Annie Ernaux che
ci guida nei luoghi dell’autrice a Cergy; Les Années Super 8 (2022),
documentario familiare firmato dalla stessa Ernaux insieme al figlio David
Ernaux-Briot, candidato al César; fino a Écrire la vie di Claire Simon, che sarà presentato alle Giornate degli Autori 2025, dove la voce dell’autrice viene
reinterpretata da studenti e studentesse delle scuole francesi. A queste opere
si aggiungono numerose trasposizioni teatrali, che hanno attraversato palchi
italiani ed europei, portando in scena la forza cruda e limpida della parola di
Ernaux. La sua scrittura, fondata sulla “verità del reale”, impone a chi la
traduce in immagini una grammatica visiva altrettanto precisa, capace di
camminare in equilibrio tra pudore e frontalità.
L’incontro tra la prosa di Annie Ernaux e lo sguardo di Judith Godrèche promette un film che non si limita a “trasporre” un testo, ma lo ridiscute dentro il presente francese: una società che sta rinegoziando le proprie narrazioni su potere, sessualità e memoria. E proprio per questo, sarà interessante osservare come Godrèche saprà restituire, con la sua sensibilità e l’esperienza maturata nel formato breve, il linguaggio di Ernaux sullo schermo e soprattutto quali aspetti del libro sceglierà di mettere a fuoco. Riuscirà il cinema, ancora una volta, a interrogarci su come il passato continui a vivere nel corpo, nella memoria, nella voce?
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