Armanda Guiducci, tra femminismo, corpo e scrittura

 

“Non sono autobiografia, sono un campione d’esistenza al femminile. Ogni ragazza dell'Occidente percorre infatti fasi “obbligate” dello sviluppo fisico e psichico. Importante, è questo modello imposto e comune. Rifletto sul destino della donna e mi domando: da dove proviene la forza prepotente che ci costringe a seguire quel modello? Chi ci impone di recitare, con la convinzione di prime attrici, una parte secondaria nell’esistenza sociale? Chi ci suggerisce di dire “io” a bassa voce? Risalgo ad Eva, la mela e il serpente, e discendo dentro me stessa. Frugo dietro le istituzioni sociali, dietro i tabù del sesso, nell’inconscio maschile. Ma frugo anche nel mio conscio che pullula di immagini compiacenti, deformate, della Femminilità. E mi sforzo di toccare il fondo, di snidare quanto di ancora inconfessato giace nel ripostiglio della mia bell’anima tradizionale”.

 

“Clandestina allo specchio, osservo il naufragio del mio corpo. Ho chiuso a chiave le porte della stanza. Sto consumando un peccato: guardarmi. Il mio corpo assolutamente nudo, oblungo e liscio, le costole sottopelle, le spalle strette appuntite, ostenta sotto il ventre quel taglio efferato, quella terribile mancanza, quel non avere, quel non essere! La mia anatomia non ha nome, Non conosco il nome di quella parte di me. Forse, non ha un vero nome”.

 

“Diventare donna è un nascere per strappi / reiterati, per lacerazioni / là, ai margini, / dove l’erba dirada”.


Armanda Guiducci




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