domenica 7 dicembre 2025

In nome di Ipazia, Dacia Maraini

 

Per chi non sapesse, Ipazia era una astronoma greca che abitava nella colonia romana d’Egitto e precisamente ad Alessandria. Siamo nel quinto secolo d.C. e l’Impero Romano, che do minava il mondo, aveva deciso da poco di adottare la religione cristiana. Ma Ipazia non era credente, Fra una donna colta, fi. glia di un grande filosofo, Teone, che l’aveva introdotta, bambina, ai rudimenti della scienza. La troviamo in piazza che insegna ai giovani studenti, che frequenta la grande e preziosa biblioteca della sua città e passa il tempo libero a osservare le stelle. È a lei che dobbiamo l’invenzione dell’astrolabio e dell’idroscopio, strumenti sperimentali per lo studio matematico del firmamento. È la prima scienziata che teorizza qualcosa di inaudito per l’epoca: ovvero che la Terra non è il centro dell’universo ma un pianeta che gira intorno al sole in un cosmo pieno di altri sistemi solari. Questo la rende sospetta ai neocristiani, difensori del dogma biblico, e presto cominciano le persecuzioni da parte dei fanatici integralisti, soprattutto dei sostenitori del vescovo Cirillo che aspirava al governo assoluto della città, al posto del questore romano Oreste.

Un giorno che la giovane parla di stelle davanti a un pubblico di studenti entusiasti, viene caricata a forza su un carro dal gruppo dei Parabolani, (setta di fanatici cristiani), strangolata e fatta a pezzi. Sembra che ancora in vita le abbiano cavato gli occhi perché il suo sguardo si era posato eretico sull’universo.

Sia Antigone che Ipazia finiscono male, e sarebbe successo anche a mia madre, se la guerra non fosse stata vinta dagli Alleati che ci hanno liberati dal campo di prigionia giapponese. Ricordo ancora il mio spavento di bambina quando, dopo averci contati, le guardie ci ripetevano che appena vinta la guerra ci avrebbero tagliato la gola. Ancora oggi sogno quelle parole che mandavano in frantumi il mio piccolo cuore di bambina. Immaginavo mia madre, mio padre e le mie due sorelle per terra, sgozzate, e per l’angoscia mi si bloccava il respiro. Certo, le situazioni estreme che hanno dovuto affrontare Antigone e Ipazia non si presentano più alle donne di oggi che pensano con la propria testa. Anche se, purtroppo, con quell’andamento inquietante della Storia che fa un passo avanti e due indietro, ci troviamo ancora di fronte a certe pratiche atroci. Penso per esempio alle coraggiose ragazze iraniane che si tolgono il velo rischiando di essere arrestate. I fanatici religiosi iraniani, in nome di un Dio geloso e punitivo, arrestano, frustano e sparano al volto e ai genitali delle donne che pretendono, come Ipazia, di rivendicare una libertà di studio e di pensiero non ammesso dalla gerarchia ecclesiale.

Cosa se ne ricava? Che la fede è un meraviglioso atto d’amore, ma va tenuta assolutamente separata dal potere costituito. Quando si pretende di imporla, decidendo non solo i comportamenti ma perfino i pensieri e le parole delle persone, soprattutto donne, si cade nella tirannia più odiosa e in una brutalità

militaresca. Comunque, molti passi avanti sono stati fatti, e il mondo vive meglio.

A chi mi chiede dove stia questo meglio posso rispondere che la schiavitù per esempio è stata abolita, mentre per tanti secoli è stata considerata legittima. La ghigliottina come spettacolo di piazza è stata abrogata, i combattimenti fra uomini e bestie, la lapidazione, la decapitazione, la tortura sono state abrogate. C'è chi li pratica ancora, ma si tratta di abusi e suscitano indignazione. Siamo andati avanti coi diritti civili? Sì, forse, chissà.

Il nome di Ipazia per me significa riferirmi a un modello di gioiosa e serena fermezza d’animo, quella che ho potuto conoscere in famiglia durante la mia dolorosa infanzia giapponese. Molti mi hanno chiesto e me lo chiedono ancora: ma valeva veramente la pena di rischiare la vita delle figlie bambine per difendere le proprie idee? La mia risposta è sì. Forse perché sento ancora la voce di mia madre che sorridendo dice: non importa quello che dicono gli altri, ma la prima fedeltà alle proprie idee viene da te, accompagnata dalla stima per te stessa. E questa stima devi tenerla sempre alta.


Dacia Maraini, In nome di Ipazia, -prefazione-



sabato 6 dicembre 2025

Sulle pratiche femministe

 

“Quando ho iniziato a occuparmi di femminismo francese nei primi anni '80, penso non fossi affatto interessata a lei (Luce Irigaray) perché mi sembrava un'essenzialista, un termine che allora usavamo con molta facilità, quando pensavamo di sapere cosa significasse. Alla fine degli anni '80, ho iniziato a riconsiderare le mie obiezioni nei suoi confronti e ho scoperto che, tra le teoriche femministe che avevo letto, era forse la più esperta di filosofia e che il suo approccio alla filosofia era un curioso mix di lealtà e aggressione. Ed è diventata molto interessante, per me, quando ho iniziato a riflettere sulla sua pratica della mimesi critica - come si approcciava quando leggeva Freud, o quando leggeva Platone - e ho letto Speculum più e più volte, spaventata dalla sua rabbia, affascinata dalla vicinanza della sua lettura, confusa dal mimetismo del testo. Era schiava di questi testi, li stava sostituendo radicalmente, o era forse intrappolata nell'essere in entrambe le posizioni allo stesso tempo? E ho capito che qualunque cosa fosse per lei il femminile, non era una sostanza, non era una realtà spirituale che potesse essere isolata, ma aveva qualcosa a che fare con questa strana pratica di lettura, in cui lei leggeva testi che non era autorizzata a leggere, testi dai quali era esplicitamente esclusa o esplicitamente sminuita in quanto donna, e che lei leggeva comunque. E allora la domanda è: cosa significherebbe leggere da una posizione di radicale disautorizzazione per smascherare l'autorità contingente del testo? Mi è sembrata una pratica critica femminista, una pratica di lettura critica che io potevo imparare e, da quel momento in poi ho iniziato a leggerla in modo piuttosto approfondito”.

Judith Butler



venerdì 5 dicembre 2025

Simone de Beauvoir, L’età forte

 

Quando avevo conosciuto Sartre, avevo creduto di aver raggiunto tutto; accanto a lui non avrei potuto mancare di realizzarmi; adesso mi dicevo che riporre la propria salvezza su qualcuno che non sia noi stessi è il più sicuro mezzo di correre alla propria perdita. Ma insomma, perché questi rimorsi, questi terrori? Io non ero certo una femminista militante, non avevo alcuna teoria circa i diritti e i doveri della donna; come in altri tempi avevo rifiutato di essere definita “una bambina”, adesso non mi pensavo come “una donna”: ero io, ma era proprio per questo che mi sentivo in colpa. L’idea di salvezza era sopravvissuta in me alla sparizione di Dio, e la prima delle mie convinzioni era che ciascuno doveva provvedere personalmente alla propria. La contraddizione di cui soffrivo era non già di ordine sociale, ma morale, e quasi religioso. Accettar di vivere come essere secondario, come essere “relativo” sarebbe stato abbassarmi in quanto creatura umana; tutto il mio passato insorgeva contro questa degradazione.

Simone de Beauvoir, L’età forte



giovedì 4 dicembre 2025

Sulla sessualità, la memoria, la scrittura

 

La sessualità femminile: due tipi, quella che risponde + quella che prende l'iniziativa, Il sesso è sempre sia attivo (avere una dinamo dentro di sé) sia passivo (abbandonarsi),

La paura di ciò che pensa la gente — e non l’indole naturale - fa si che la maggior parte delle donne abbia bisogno di essere desiderata prima di poter desiderare.

L'amore come incorporazione, come essere incorporati. Devo resistervi. Dovrebbe esserci una tensione nel palmo della mano, come dice il maestro di ballo. Non ricevi alcun messaggio se sei floscia.

Pensare alla separazione [da Irene] come a una tensione di questo tipo.

La mente è una puttana.

Leggere per me è fare incetta, accumulare, immagazzinare per il futuro; riempire il vuoto del presente. Fare sesso e mangiare sono attività completamente diverse — piaceri in sé, per il presente — che non sono al servizio né del passato né del futuro. A loro non chiedo niente, neppure un ricordo.

La memoria è la prova. Ciò che si desidera ricordare — mentre si ricorda ancora impegnati in un’azione o un'esperienza — È corrotto.

Scrivere è un’altra attività esente da queste costrizioni, Uno sgravarsi. Un estinguere. Un estinguere il debito con la memoria.

Susan Sontag, Rinata




mercoledì 3 dicembre 2025

Sulle tracce di Medusa

Bisogna che la donna scriva dal suo corpo, che inventi la lingua imprendibile che schianti le pareti, le classi e le retoriche, le ordinanze e i codici, che sommerga, trapassi, travalichi il discorso di riserva ultimo, compreso quello che se la ride di dover dire la parola “silenzio”, quello che, mirando all’impossibile, si ferma di botto davanti alla parola “impossibile” e la scrive come “fine”. Tale è la potenza femminile che - travolgendo la sintassi, rompendo questo famigerato filo (un filo sottile sottile, dicono loro) che serve agli uomini da sostituto del cordone per assicurarsi, altrimenti non godono, che la vecchia madre sia sempre dietro di loro, a guardarli far fallo - le donne si spingeranno all’impossibile. 

Hélène Cixous, Il riso della Medusa




martedì 2 dicembre 2025

Io non domando fama, domando ascolto

In verità, al di fuori della somma di energie ch'io spendevo attorno al bambino, era in me un'incapacità sempre maggiore di vedere, di volere, di vivere: come una stanchezza morale si sovrapponeva a quella fisica, lo scontento di me stessa, il rimprovero della parte migliore di me che avevo trascurata, di quel mio io profondo e sincero, così a lungo represso, mascherato. Non era un’infermità era la deficienza fondamentale della mia vita che si faceva sentire. In me la madre non s'integrava con la donna: e le gioie e le pene purissime in essenza che mi venivano da quella cosa palpitante e rosea, contrastavano con un'instabilità, un'alterazione di languori e di esaltamenti, di desideri e di sconforti, di cui non conoscevo l'origine e che mi facevano giudicare da me stesso un essere squilibrato è incompleto. Su un libriccino segnavo le date maggiori dell'esistenza fragile e preziosa della quale vivevo e che respiravo come se fosse stata la sola aria per me vitale. Quegli appunti, insieme a notazione rapida del primo destarsi dell'intelligenza nel bimbo e delle impressioni varie che ne risentivo, sono il mio esordio di scrittrice. 


Sibilla Aleramo, Una donna




lunedì 1 dicembre 2025

Ora mi chiedo: davvero narrare è un destino?

Ora mi chiedo: davvero narrare è un destino? Avevo sette anni quando dichiarai in famiglia che volevo diventare scrittrice. Per una serie di coincidenze e di scelte ho poi onorato quel sogno ingenuo, che mi permetteva di salvarmi dai naufragi della sensibilità, mi spingeva a rafforzarmi nella disciplina, mi avviava verso un progetto di indipendenza, La parola scritta ha così dominato la mia vita. Tuttora la domina. Anche se la figura di scrittrice che immaginai da bambina si è trasformata, a causa dei profondi mutamenti sociali: omologazione, potenza dei media, mercato trionfante, globalità; ormai non coincide più con quel ruolo, quel mito. Non esiste più.  Al posto di quella figura c’è una donna come tante, la cui particolare inclinazione è di farsi assorbire dalle parole scritte e la cui esigenza è di cercare una sintesi che valga per la conoscenza e per la solitudine. Cosa intendo per sintesi? Intendo un segnale di verità, un lampo che getti una luce sul tutto. La via di chi scrive è contrassegnata da questi lampi. Da anni, tuttavia, ho smesso di chiedermi dove portano: questa è la novità. Forse ho fatto mio un pensiero di Simone Weil: «Distacco dai frutti dell'azione. Sottrarsi a questa fatalità». In mezzo al mondo cambiato continuo il lavoro che ho scelto. Per necessità, per innata fedeltà. Sono persuasa che non c’è alcun punto, nella realtà, a cui mirare come a una conquista. Mi aspetto gioia e sorpresa solo da quei lampi di cui ho detto prima: per loro guardo attentamente oltre i disordini e i mutamenti. E mi tengo pronta ad afferrarli, quasi fossero stelle in fulmineo transito. Fulgide stelle che cadono nella piena estate, in mezzo alla notte. 

Grazia Livi, Narrare è un destino