In
verità, al di fuori della somma di energie ch'io spendevo attorno al bambino,
era in me un'incapacità sempre maggiore di vedere, di volere, di vivere: come
una stanchezza morale si sovrapponeva a quella fisica, lo scontento di me
stessa, il rimprovero della parte migliore di me che avevo trascurata, di quel
mio io profondo e sincero, così a lungo represso, mascherato. Non era
un’infermità era la deficienza fondamentale della mia vita che si faceva
sentire. In me la madre non s'integrava con la donna: e le gioie e le pene
purissime in essenza che mi venivano da quella cosa palpitante e rosea,
contrastavano con un'instabilità, un'alterazione di languori e di esaltamenti,
di desideri e di sconforti, di cui non conoscevo l'origine e che mi facevano
giudicare da me stesso un essere squilibrato è incompleto. Su un libriccino
segnavo le date maggiori dell'esistenza fragile e preziosa della quale vivevo e
che respiravo come se fosse stata la sola aria per me vitale. Quegli appunti,
insieme a notazione rapida del primo destarsi dell'intelligenza nel bimbo e
delle impressioni varie che ne risentivo, sono il mio esordio di
scrittrice.
Sibilla Aleramo, Una donna

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