lunedì 24 luglio 2023

In nome di Ipazia. Riflessioni sul destino femminile di Dacia Maraini

Talvolta sento il bisogno di rileggere le parole di Oriana Fallaci in una intervista del '75 dopo l'uscita del libro Lettera a un bambino mai nato. E ne sento il bisogno perché le sue parole mi danno la possibilità di riflettere sulla storia della condizione femminile e sulla strada fatta fino ad oggi (l'attualità e il coraggio del pensiero di Fallaci sono alcuni degli aspetti che più ammiro e che mi affascinano). 


Ecco, le sue parole le ho rilette anche dopo aver concluso l'ultimo libro di Dacia Maraini, In nome di Ipazia (Solferino, 2023). Una raccolta di articoli scritti per lo più per il Corriere della Sera (salvo diverse indicazioni) che coprono un arco temporale di una cinquantina d'anni. Si va dalla fine degli anni Sessanta fino agli articoli più recenti. 




Il fil rouge che unisce questi scritti è già nel sottotitolo del libro: Riflessioni sul destino femminile. Ritorna quella riflessione che mi accompagna ogni volta che rileggo l'intervista di Oriana Fallaci. Tuttavia, questa volta la riflessione sollecitata dalle parole di Maraini affonda la lama ancora di più in profondità, in quella relazione madre-figlia già raccontata da Luce Irigaray che coinvolge il corpo e il linguaggio. E' proprio dal rapporto con la madre che Dacia Maraini fa risalire la costruzione filologica di questo libro. Topazia, madre intrepida e decisa, madre ardimentosa come viene descritta dalla stessa Maraini. Topazia per il suo temperamento e per il suo coraggio ricorda alla figlia Dacia altre donne della storia, fra tutte Ipazia, la prima scienziata a teorizzare che la Terra non è al centro dell'Universo ma uno dei Pianeti che girano attorno al sole. Ipazia conoscerà la morte per aver espresso il suo pensiero frutto di anni di studi. 


Scrive Maraini: "Il nome di Ipazia per me significa riferirmi a un modello di gioiosa e serena fermezza d'animo, quella che ho potuto conoscere in famiglia durante la mia dolorosa infanzia giapponese. Molti mi hanno chiesto e me lo chiedono ancora: ma valeva veramente la pena di rischiare la vita delle figlie bambine per difendere le proprie idee? La mia risposta è sì. Forse perché sento ancora la voce di mia madre che sorridendo dice: non importa quello che dicono gli altri, ma la prima fedeltà alle proprie idee viene da te, accompagnata dalla stima per te stessa. E questa stima devi tenerla sempre alta".


Gli articoli raccolti in questo libro sono una disamina sul destino femminile, uno sguardo attento, coraggioso, coerente con il pensiero e l'attivismo di Maraini fin dall'inizio della sua carriera letteraria. Leggendo si ha come l'impressione di ripercorrere la storia della condizione femminile racchiusa in un racconto accorato, mai melenso, lucido e puntuale, attento ad ogni sfumatura storica e politica, ma soprattutto un racconto in grado di restituire voce e corpo alle donne, quella stessa voce e quello stesso corpo più volte sottratti e maltrattati, annientati dal patriarcato e da una visione fallocentrica che ha influenzato intere generazioni (anche femminili). Non mancano le riflessioni sul significato di libertà della donna, del corpo femminile, sulla presa di coscienza di quel corpo, sul significato di famiglia, così come non mancano gli scritti sulle donne coraggiose e sulle battaglie storiche.


Una lettura che riconcilia con la storia, con il (mio) concetto di essere e diventare donna. Una lettura lontana dalla retorica patinata di certi femminismi dell'ultima ora che sembrano aver scordato proprio le battaglie storiche, troppo impegnati ad incensare le mode e i protagonisti del momento senza accorgersi che proprio questi alimentano gli stereotipi sui quali si basa buona parte del patriarcato. E' bene, di tanto in tanto, ricordarsi da dove veniamo e la strada fatta fino ad oggi perché solo in questo modo, solo recuperando la memoria possiamo avere un atteggiamento consapevole sviluppando un pensiero che sia veramente critico "verso tutte le forme di reificazione dell'essere umano".

mercoledì 5 luglio 2023

Giorno di vacanza di Inés Cagnati

"Penso che ci siano poche infanzie-paradiso", così Inès Cagnati si racconta alla scrittrice e poetessa Laurence Paton, rivelando di non essere mai stata una bambina felice e di aver preferito "scrivere che parlare". Questo l'ho avvertito in seguito alla lettura di Génie la matta, ed è quello che si ripresenta ora che ho letto "Giorno di vacanza" (Adelphi, traduzione di Lorenza Di Lella, Francesca Scala). Storie che si nutrono di miserie e tragedie, le stesse che vengono messe sotto la lente d'ingrandimento di Cagnati, illuminate dalla sua scrittura. 



Come nel libro "Génie la matta", anche in "Giorno di vacanza" (uscito in Francia e premiato nel 1973 con il prix Roger Nimier) il corpo materno diventa un campo minato dalla disperazione e dall'abbandono, dalla povertà e dalla follia. Un corpo che non riesce ad accogliere i suoi figli trasformandosi in un luogo sconosciuto prima di svanire completamente. 


Galla, la quattordicenne che riesce ad accedere al liceo grazie alla borsa di studio e alla tenacia della sua insegnante di lettere delle scuole medie,  è catapultata nel cosiddetto "mondo dei dominanti", come lo definirebbe Annie Ernaux. E' in quello spazio circoscritto dalle mura scolastiche, dalle aule, dalle lezioni di italiano e matematica che le viene continuamente ricordato che lei, Galla, non farà mai parte di quel mondo perché proviene dalla classe sociale oppressa, quella dei dominati. Ma Galla non ci sta e con la sua bicicletta percorre trentacinque chilometri per frequentare il liceo che le avrebbe dato ciò che la sua famiglia non ha avuto: la speranza. Mentre attraversa le paludi da cui proviene, quella terra arida dove crescono solo sassi, Galla si aggrappa alla speranza di poter studiare e di guadagnare abbastanza soldi per acquistare una terra fertile per la sua famiglia. Ogni chilometro percorso sulla bicicletta non fa che avvicinarla alla sua speranza. Come in "Génie la matta", anche in questo libro Inés Cagnati inserisce la narrazione in un climax emotivo che ci trascina fino all'ultima pagina, sconvolgendoci.


Ricordo di aver scritto, dopo la lettura di "Génie la matta", che avrei atteso con trepidazione altri suoi libri, pochi ma preziosi che lei ha scritto lontana dai salotti parigini, nel silenzio che si confà alla scrittura. Ed ecco una nuova traduzione, sempre per Adelphi. Un libro attuale che racconta con forza la sua storia, la storia di una donna che si è sempre sentita straniera. Un libro che andrebbe analizzato sotto molti aspetti anche quello dell'immigrazione proprio alla luce di quanto sta accadendo a Parigi.