martedì 30 luglio 2013

Gianni Berengo Gardin – Storie di un fotografo


Ho sempre amato l'aneddottica. Riempie la narrativa, si avverte l'umanità che sta dietro la narrativa, si avverte quel non so che di realismo magico che si è andato un po' sgretolando, nel corso del tempo, nella nostra cultura letteraria. Leggere di Gianni Berengo Gardin che, negli anni Cinquanta, in un bar milanese, mostra alcuni suoi recenti lavori a un amico critico fotografico mentre alle spalle qualcuno sbircia le foto e solo allora interviene nella discussione facendo complimenti e proponendo di portare i lavori al proprio giornale (si trattava di Leo Longanesi e il giornale in questione era Il Borghese) è qualcosa che reca il sapore delle cose passate ma fa capire l'humus culturale di quegli anni, così lontani, non solo cronologicamente, dall'epoca che stiamo vivendo.

È sempre un po' bizzarro il modo in cui Gardin si accosta e sperimenta la fotografia, con quell'aria da timido appassionato che vuole raccontare ma ancora non ha idea degli strumenti da utilizzare. Prima la collaborazione a Il Borghese, una grande scuola per un'anima così giovane e prima ancora la fotografia sociale americana grazie ai libri inviatogli da Cornell Capa tramite uno zio ebreo emigrato in America. Il racconto sociale è diventato il suo campo d'indagine, il reale senza sbavature, lontano dalla retorica, nessuna caduta verso la banalità. La ricerca, senza tregua e senza soste, della storia da raccontare

Gianni Berengo Gardin – Storie di un fotografo è la mostra in esposizione a Milano, Palazzo Reale a cura di Denis Curti fino all'8 settembre 2013.






Primo appuntamento con Vittorio Sereni



Nel centenario della sua nascita, Corsi e Rincorsi vuole dedicare uno spazio privilegiato alla poetica di Vittorio Sereni e al rapporto con il suo tempo. Iniziamo questo percorso con Strumenti Umani, la terza raccolta di Sereni edita da Einaudi nel 1965

Vittorio Sereni affida un'intensità espressiva attraverso la vicenda personale alla sua terza raccolta poetica, Strumenti umani. Si tratta di una voce matura che raccoglie le istanze dei lavori precedenti, Frontiera e Diario d'Algeria, e che forte di questa maturità cerca di donarle un'impronta nuova che si pone nei confronti del suo tempo, come dichiarò Luzi al Convegno di poeti tenutosi a Luino nel maggio del 1991, come la "poesia di un'età decentrata, nel senso più proprio di questo termine; cioè di un tempo postumo rispetto a una sua stagione di fede e di plenitudine e anticipato rispetto a una nuova concretezza".

Gli studi di Sereni risentono di una poetica crepuscolare ancorata tuttavia al tessuto realistico, affondano le mani nella volontà di vivere un tempo contraddittorio che sta implodendo. E' forte la lezione di Banfi, all'epoca docente di Storia della Filosofia ed Estetica, la crescita spirituale sulla quale l'intero gruppo banfiano ha basato la vita, oltre che gli studi, e il consecutivo impoverimento morale, la mancanza di certezze, l'infinito oscillare tra inquietudine e trepidazione.

Sereni risolve, per così dire, questa tensione con quello che Caproni definì "l'intatta necessità dell'atto poetico", traducendo la sua vicenda umana personale nell'umanesimo seppur "atterrito dalla propria fragilità" (Fortini).

Appuntamento a ora insolita 

La città – mi dico – dove l’ombra
quasi più deliziosa è della luce
come sfavilla tutta nuova al mattino…
«…asciuga il temporale di stanotte» – ride
la mia gioia tornata accanto a me
dopo un breve distacco.
«Asciuga al sole le sue contraddizioni»
- torvo, già sul punto di cedere, ribatto.
Ma la forma l’immagine il sembiante
- d’angelo avrei detto in altri tempi -
risorto accanto a me nella vetrina:
«Caro – mi dileggia apertamente – caro,
con quella faccia di vacanza. E pensi
alla città socialista?».
Ha vinto. E già mi sciolgo: «Non
arriverò a vederla» le rispondo.
(Non saremo 
più insieme, dovrei dire). «Ma è giusto,
fai bene a non badarmi se dico queste cose,
se le dico per odio di qualcuno
o rabbia per qualcosa. Ma credi all’altra
cosa che si fa strada in me di tanto in tanto
che in sé le altre include e le fa splendide,
rara come questa mattina di settembre…
giusto di te tra me e me parlavo:
della gioia».

Mi prende sottobraccio.
«Non è vero che è rara, – mi correggo – c’è,
la si porta come una ferita
per le strade abbaglianti. È
quest’ora di settembre in me repressa
per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo
celava sotto i panni e il fianco gli straziava,
un’arma che si reca con abuso, fuori
dal breve sogno di una vacanza.
Potrei
con questa uccidere, con la sola gioia…».

Ma dove sei, dove ti sei mai persa?

«È a questo che penso se qualcuno
mi parla di rivoluzione»
dico alla vetrina ritornata deserta.

domenica 28 luglio 2013

Bibliomotocarro: una biblioteca itinerante



Leggere è trovarsi di fronte il reale nella sua massima concentrazione.
Amélie Nothomb

E poi c'è chi crede nella forza della lettura e riempie le sue giornate di libri da sfogliare e donare agli altri. E' un po' quello che continua a sperimentare da quindici anni a questa parte Antonio La Cava, insegnante, oggi in pensione, che a bordo della sua Ape 50 viaggia per la Basilicata portando libri ai bambini. Una biblioteca itinerante che affascina e attrae anche gli adulti e che sta ricevendo appoggi anche economici (indispensabili per chi crede nella diffusione capillare della cultura) soprattutto in seguito alla sua partecipazione a Ballarò.


La ricerca di Yoshin Ogata



Svelando l'arte di Yoshin Ogata, si scopre il merito che la cultura europea ha avuto nel sollevare un'infinità di significati e una moltitudine di allusioni che ben si contrappongono e, talvolta, riempiono il linguaggio artistico giapponese dei primi del '900. Le sculture di Ogata sono blocchi essenziali, la cui luce si diffonde per poi raggiungere un particolare facendolo emergere dal contesto, elevandolo e imponendolo agli occhi dell'osservatore. Sono sculture astratte che rivivono degli echi letterari e artistici magici della metà degli anni '70. Siamo infatti in piena maturità e la splendida lucentezza dei marmi del Belgio, di Carrara o del rosso di Persia vengono modellati e levigati sulla base dei simboli ancestrali. I marmi partecipano dell'infinità cosmica mentre l'attrazione di Ogata si avvicina sempre più a quella nota delicatamente magica che muove il mondo, metafisica ricerca di un'entità spirituale superiore. 




giovedì 18 luglio 2013

Una certa idea di mondo di Alessandro Baricco



Questo articolo è uscito sulla rivista Letteratu.

A metà degli anni novanta, avevo dieci anni o poco più, guardavo l'orizzonte, deludente linea piatta che finiva dove iniziava il cielo, e puntando il dito verso un punto indefinito dicevo che sarei andata a vivere lontano e se qualcuno pronunciava il nome di qualche paese della bassa padana oppure quello di Mantova, la città più vicina, rispondevo che sarei andata ancora più lontano. Così la gente pensava che ero proprio una bambina piena di sogni. Crescendo me ne sono andata, sempre più lontano. E a volte ho come la sensazione di non essere ancora giunta in quel punto che indicavo all'età di dieci anni. 

Tra un viaggio e l'altro, un trasloco e l'altro (che mi venga concessa la soddisfazione di affermare, col petto gonfio, che di traslochi me ne intendo) ho disseminato ricordi e lasciato tracce, ho seguito odori e percepito sensazioni che, altrimenti, non avrei mai provato. E in un momento della mia vita in cui mi ritrovo a fare i conti con un tempo che ho abbandonato solo a metà, leggere (anzi rileggere, se devo essere sincera) il prologo del romanzo (sì voglio chiamarlo proprio così) di Alessandro Baricco, Una certa idea di mondo, nel quale annota quello che ha lasciato e poi ritrovato in seguito a un trasferimento, non può che farmi sentire meno sola. Perchè in fondo è vero che tenere i libri nell'ordine secondo il quale sono stati aperti, come afferma Baricco, spinge a un rapporto intimo, talvolta morboso e carnale, con i libri stessi, che riposano nell'esatta posizione in cui li abbiamo lasciati, invitandoci ad annusarli di tanto in tanto. 

Continua la lettura: http://bit.ly/151ITzV

mercoledì 17 luglio 2013

Twitter Media Blog



Questo articolo è uscito sulla rivista CaffeNews.

Twitter Media Blog è il nuovo canale che twitter mette a disposizione degli utenti non solo per ampliarne il bacino ma anche per stimolare discussioni interessanti attorno a tematiche quali il giornalismo, la musica, il cinema, lo sport oppure la televisione. Insomma Twitter sembra mutare la geologia interna attraverso un progetto mirato e studiato nel dettaglio. 

Lanciato il 2 luglio, Twitter Media Blog si presenta con una grafica stimolante e semplice, adatta  a catturare l'attenzione dei media educandoli, come ha dichiarato Josh Constine, a un utilizzo del social network fruttuoso al fine di una capillare diffusione dei loro contenuti. 

lunedì 15 luglio 2013

Chiedo scusa al tempo


Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante
W. Szymborska

Ogni volta che metto piede a casa, intendo la casa dove sono nata, faccio i conti con un tempo che ho abbandonato solo a metà. Come se qualcuno, o qualcosa, fosse sopravvissuto alla mia partenza e avesse continuato a scrivere alla stessa scrivania, a battere i tasti della stessa tastiera sulla quale sto scrivendo ora, a leggere stesa sullo stesso letto dove ho trascorso le notti della mia infanzia e adolescenza. E forse qualcosa che sopravvive c'è, solo che non ce ne rendiamo conto.

Nel riprendere contatto con un tempo che avevo abbandonato solo a metà, decido di affrontare letture che, in un qualche modo, hanno a che vedere con il tempo stesso, la poesia e la vita (le ultime due interscambiabili e riconducibili l'una all'altra). Ecco che ho scelto, come prossime letture, il romanzo di Tabucchi, Il tempo invecchia in fretta edito da Feltrinelli a giugno del 2009, il secondo romanzo di Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve, edito da Einaudi nell'ottobre del 2012 e la rilettura del libro di Alessandro Baricco, Una certa idea di mondo, giusto per dare filo da torcere al torpore al quale la calura ci tiene avvinghiati.   

sabato 13 luglio 2013

Jenny Kodonidou: il Mediterraneo tra arte e cultura



Le creazioni artistiche di Jenny Kodonidou sono sorrette da una forza estranea a quella umana. Il dualismo anima-corpo, bene-male, razionale-irrazionale, realtà-sogno, questo dualismo si scontra continuamente con un linguaggio solo apparentemente lineare che getta uno sguardo sulla realtà che l'uomo postmoderno vive ogni giorno. Il pensiero essenziale di quest'artista genera, nelle sue opere, un contraccolpo che solo in parte viene percepito dall'osservatore, il quale, estasiato ma al contempo, meravigliato dalle tele rielabora un significato altro che potrebbe non coincidere con quello dell'artista. 

I miti della modernità, o del postmoderno come vorrebbe alcuni filosofi contemporanei, riecheggiano nelle opere di Jenny Kodonidou presentate la scorsa primavera allo Spazio Tadini di Milano all'interno della mostra Ritorno al Mediterraneo, un modo per raccontare un luogo che sta vivendo dei forti mutamenti economici e politici che, di conseguenza, abbracciano anche la sfera culturale e sociale. E le opere di Jenny Kodonidou sono un esempio interessante di quanto sta accadendo nel Mediterraneo. 









venerdì 12 luglio 2013

You who have everything, why you are so afraid?: Woman's Work di Francesca Borri



Woman's Work è un pezzo di grande giornalismo di Francesca Borri, giornalista italiana inviata di guerra già all'età di 23 anni quando, come ha raccontato, si trovava tra i fuochi della Bosnia. Per chi scrive di giornalismo, per chi prova a farlo, per chi ha già messo piede nel mondo dell'editoria e ha già avuto modo di conoscere quei meccanismi subdoli e spesso meschini che si celano dietro all'apparente cordialità, questo racconto non può lasciare indifferenti. E' la testimonianza di cosa significa vivere la guerra da giornalista con scarsi mezzi tecnologici e con tanta solitudine, vivere la guerra da donna che si trova a doversi confrontare con chi, nonostante tutto, ha il coraggio di dire “This isn’t a place for women”. 

Vivere la guerra perchè non ci sono altre alternative. Non c'è scelta: "People have this romantic image of the freelancer as a journalist who’s exchanged the certainty of a regular salary for the freedom to cover the stories she is most fascinated by. But we aren’t free at all; it’s just the opposite. The truth is that the only job opportunity I have today is staying in Syria, where nobody else wants to stay. And it’s not even Aleppo, to be precise; it’s the frontline. Because the editors back in Italy only ask us for the blood, the bang-bang. I write about the Islamists and their network of social services, the roots of their power—a piece that is definitely more complex to build than a frontline piece. I strive to explain, not just to move, to touch, and I am answered with: “What’s this? Six thousand words and nobody died?”.

Francesca usa parole dure, che spezzano l'incantesimo, se ancora qualcuno ci crede, su una professione che spesso fa rima con libertà: "But whether you’re writing from Aleppo or Gaza or Rome, the editors see no difference. You are paid the same: $70 per piece. Even in places like Syria, where prices triple because of rampant speculation. So, for example, sleeping in this rebel base, under mortar fire, on a mattress on the ground, with yellow water that gave me typhoid, costs $50 per night; a car costs $250 per day. So you end up maximizing, rather than minimizing, the risks. Not only can you not afford insurance—it’s almost $1,000 a month—but you cannot afford a fixer or a translator. You find yourself alone in the unknown. The editors are well aware that $70 a piece pushes you to save on everything. They know, too, that if you happen to be seriously wounded, there is a temptation to hope not to survive, because you cannot afford to be wounded."

E l'agghiacciante riflessione finale. Parole che rotte dall'emozione, dalla rabbia, dal bisogno di urlare una verità che spesso viene negata ai lettori: il prezzo da pagare per raccontare le storie dal mondo.

E quindi un invito a leggere l'articolo di Francesca Borri, a riflettere non tanto, come ho letto proprio pochi istanti fa, per aprire un dibattito sull'informazione quanto per ragionare su cosa significa essere giornalista freelance inviati di guerra, cosa significa vivere la guerra e la paura ogni giorno, ogni momento. E quell'ultima domanda, quell'urlo che vuole essere ascoltato. Ieri su twitter Francesca ha scritto, in risposta a un commento, "non voglio l'ennesima mail di solidarietà: voglio che parlate pubblicamente, diamine"


giovedì 11 luglio 2013

Assignmint: il giornalismo digitale che paga



Quando si parla di problemi etici del giornalismo digitale, di protezione del Primo Emendamento la discussione, negli Stati Uniti, si accende e il fervore spesso cede il posto alla ragione. Ne ha parlato proprio in questi giorni LSDI che, attraverso un ampio approfondimento, ha fatto luce sullo stato di salute del giornalismo americano citando firme del calibro di Mathew Ingram e Jeff Jarvis e passando in rassegna i significati del nuovo giornalismo quello che è, per dirla alla Jarvis, prima di tutto un servizio.

In questi stessi giorni Steve Buttry ha spostato l'attenzione delle sue "lezioni" di giornalismo digitale su una questione tanto delicata quando bistrattata ovvero il reclutamento di personale al fine di alimentare la redazione. E qui Buttry si sporca le mani con un argomento al quale gli editori spesso sembrano essere allergici: l'assunzione. Sì perchè assunzione è sinonimo di nomina, chiamata, ma anche accettazione e accoglimento. Spesso l'editoria e il giornalismo fuggono quando si tratta di chiamare con il loro nome le cose e le persone, e sembrano preferire l'anarchia alla regola e all'ordine. Il giornalismo tende, e questo non solo oltreoceano, ad allontanare e isolare i freelance che, al contrario, potrebbero innalzare la qualità di una redazione. 

Un taglio differente a questa situazione sembra voler essere l'obiettivo di Assignmint, la piattaforma ideata da Jeff Koyen che permette l'incontro tra giornalisti freelance e editori. L'offerta e la domanda, si potrebbe dire in altre parole oppure la proposta, l'idea e la piazza che l'accoglierà. Ecco che i termini sembrano tornare al loro posto, ognuno trova la giusta collocazione. Come spiega Susanna Combusti su Piazza Digitale: "Gli strumenti offerti da Assignmint seguono tutto il processo creativo del giornalista, dalla proposta fino alla retribuzione. Il sito offre agli utenti una maxi agenda, con indirizzi e recapiti di oltre 15.000 quotidiani, periodici e siti online americani. Il sito è pensato come un distributore di idee e, in futuro, l’obiettivo è di creare un algoritmo che abbini la proposta alla testata, un po’ come Linkedin, che suggerisce potenziali clienti ai liberi professionisti."

Con Assignmint si apre un nuovo modo di guardare e pensare al giornalismo che potrebbe essere, senza troppi sforzi, spostato anche sul territorio italiano per regolarizzare quella "giungla" che, invece, caratterizza il nostro modo di fare notizia. E da qui il passo all'estensione del diametro del gruppo verso coloro che stanno per diventare giornalisti o, pensando più in grande, verso coloro che il giornalismo lo fanno ogni giorno senza essere giornalisti, rubando le parolo a Ingram, il passo dicevo dovrebbe essere breve. 

Per Ricominciare. Racconti, libri, viaggi.



Ho lasciato Roma, il cuore della mia vita negli ultimi sette anni. Tutto quello che è accaduto ha gravitato attorno a questa città che resterà mia per un tempo indefinito. Non l'ho lasciata per sempre (come potrei vivere altrimenti?) però si è aperta una parentesi che non mi consentiva più di stare in quel posto. Una scelta necessaria, mi piace dire così quando qualcuno della calda e accogliente e verde Umbria mi chiede di spiegare il motivo. E quindi sempre rispondo una scelta necessaria. Non credo che riescano a comprendere fino in fondo ma poco importa. Credo che l'urgenza stia, più che altro, nel trovare un equilibrio mio, che mi appartenga fino in fondo e nel quale possa ritrovarmi, in ogni momento, in ogni istante. 

Quindi. Senza internet per circa... una settimana? (sì, giorno più o giorno meno direi proprio una settimana) è stata dura anzi durissima. Fortuna che almeno non mi è stato sottratto il pc sul quale ho potuto continuare a scrivere. Ma internet, è stato impossibile vivere senza. Dipendenza? Non direi, più che altro una specie di bisogno continuo di attingere alle notizie, di leggere le fonti, di chiarire dei dubbi che nascevano in seguito alle letture. Di capire. Di conoscere. E' una scoperta continua, come mio figlio quando gli mostro un gioco nuovo o un libro o qualsiasi altra cosa che non abbia mai visto. Ecco il web è questo, per me.

Detto questo. Mi ha lasciata di stucco leggere la riflessione di Roberto Napoletano sul domenicale del Sole24ore. Ha parlato della sofferenza di Parma, del calo della produzione industriale nel settore edilizio ma non solo, anche quello alimentare risente di una forte crisi che si tocca, in modo capillare, la città, la provincia e forse anche l'intera regione. Napoletano ha riportato l'attenzione sulle conseguenze di una crisi nazionale che sta mettendo in ginocchio zone d'Italia impensabili (come appunto Parma). Ho vissuto e studiato a Parma e quelle parole non possono che scuotermi. L'ho sempre vista come l'isola felice, un rifugio dal pessimismo e dalla crisi, un posto, per dirla in altre parole, dove le cose funzionavano. Forse non sarà più così. Con tempra e determinazione ce la potremo fare, Napoletano conclude il suo pensiero. E mi si stringe il cuore perché credo che non siano più sufficienti per far girare, nuovamente, la ruota. Ci vuole qualcosa in più, uno slancio che prenda avvio dalla politica, un'attenzione maggiore alle leggi e alla cultura, a ciò che può risollevare il nostro Paese e le singole regioni. 

Sempre all'interno del domenicale del 7 luglio, leggo, con grande sorpresa e forte ammirazione, dell'opera prima di Teju Cole, Città aperta (Einaudi). Per chi legge abitualmente Juxtapoz oppure per chi ama e si interessa di cultura africana il nome di questo critico, artista, scrittore e persona di grande cultura, è noto e anche molto apprezzato. Nel suo libro si intrecciano le esperienze artistiche e culturali newyorkesi, la terra d'origine, l'Africa, le emozioni vissute in seguito all'11 settembre, lo smarrimento dell'uomo moderno o, per meglio dire, postmoderno. Autobiografia e narrazione si fondono e ricreano quel tessuto letterario colorato, vivace, multietnico, così reale da sembrare surreale, visto con gli occhi di chi New York la vive ogni giorno. Anche indirettamente.

E poi. Una segnalazione. Canale 50: @laeffetv- Ogni pomeriggio intorno alle 15.00 ci sono I racconti dalle città di mare, un programma molto interessante se amate viaggiare. Ieri si parlava di Valencia, città che ho amato per la vita notturna, i suoi sapori, il mare, la cultura di certi quartieri, la storia, la rivincita che si sta prendendo nei confronti di Barcellona e Madrid.

E un video, per ricominciare.