domenica 17 febbraio 2013

La voce di Gabriele Basilico




Le linee. I punti. E l'incrocio tra linee e punti. Un gioco, come quelli che facevamo da bambini quando dicevamo tra di noi, tra noi piccoli, "facciamo finta di". Ecco, una fotografia che fa finta di essere qualcosa d'altro. Che vuole essere qualcosa d'altro. E ci riesce. Alla fine di una ricerca, alla fine di una estenuante ricerca.

Amo la fotografia. Non la pratico, non è il genere di cose che mi riescono bene, però amo guardare le fotografie, osservare, ammirare, stupirmi mentre mi stupisco, pensare, divagare, sconcertarmi. Angosciarmi. A volte ho bisogno di tutte queste sensazioni messe insieme altre volte ho bisogno di una sola di queste. Mi ci aggrappo.

Con le fotografie di Gabriele Basilico è un po' così, nel senso che mi sono sempre sentita sopraffatta dalla loro perfezione, dalla ricerca sontuosa e algoritmica raccontata dai soggetti immortalati: città, spazi urbani, rovine. La Lettura dedica la copertina di oggi al fotografo milanese scomparso il 13 febbraio. L'ultima pagina accoglie un memorandum (se potete concedermi questo termine) commovente per come viene riassunta la voce di Basilico. 

E' un racconto paziente quello di Basilico, in continua espansione, che raccoglie indizi, che vuole carpire il senso della città stessa tenendo a bada "quella vertiginosa sensazione di possesso che un'immagine troppo rapida e furtiva può restituire".







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