giovedì 28 febbraio 2013

Chi ti credi di essere? di Alice Munro

Questa recensione è uscita sulla rivista Letteratu.it



La prima pagina di “Chi ti credi di essere?” (libro del 1978 già edito da E/O negli anni Novanta ed ora pubblicato da Einaudi) presenta una bambina di nome Rose, sognatrice, maldestra e pronta a lasciarsi alle spalle il mondo provinciale nel quale era nata. Durante una discussione con Flo, la matrigna, Rose viene meno a quei precetti tanto cari a Flo. La sua sbadataggine e la sua fervida immaginazione vengono scambiate per un atteggiamento oltraggioso. Flo non ci sta e le promette “botte da re”, quelle del padre, non le sue. “Flo non sarebbe mai arrivata a tanto”. Lei picchiava con le parole, scarnificando l’autostima di Rose, rendendola ridicola agli occhi di tutti. E perché mai avrebbe dovuto stimarla? Chi si credeva di essere, Rose?
L’intero capitolo si regge su questa domanda, ma potrei dire l’intero romanzo. 

Un saluto a Stéphane Hessel, filosofo della libertà



Le Monde ha dato la notizia della scomparsa di Stéphane Hessel nella notte tra martedì e mercoledì 27 febbraio. Per me è stato un colpo. Credo sia inutile raccontare la vita di quest'uomo, quanto ha contato per migliaia di giovani e non, ma per evitare fraintendimenti vi rinvio comunque all'articolo scritto un paio d'anni fa proprio a proposito del suo libro, Indignatevi! edito da Add Editore. Indignatevi!: la libertà secondo Stéphane Hessel.

Per quanto possa sembrare strano, quell'articolo risulta attuale così come attuale è il libro stesso (leggetelo, sottolineatelo, strapazzate quelle pagine, tenetevelo sempre con voi, nello zaino, in borsa, in una sacca. Può sempre essere utile!). Parlo di attualità se penso a frasi che inneggiano alla libertà di pensiero e parola, al dovere, oltre che al diritto, di arrabbiarsi e, appunto, indignarsi davanti a governi che non rispettano il cittadino. Parlo di attualità se rileggo frasi del tipo: "Siamo responsabili in quanto individui. La responsabilità dell'uomo non può affidarsi né a un potere né a un Dio", parole di Sartre, il motto col quale Hessel invita i giovani a togliere la maschera dell'indifferenza e guardare più in là del proprio naso.

Stéphane Hessel cita anche e soprattutto Hegel. E' il concetto di libertà del filosofo tedesco che verrà abbracciato da Hessel, ampliato, storicizzato e ricoperto di un valore morale ed etico del tutto innovativo per il nostro periodo. Un pensiero, quello di Hessel, che oltrepassa le ideologie di Hegel per inaugurare un nuovo modo di vivere la politica e la nostra storia: “Creare è resistere, resistere è creare” .   

martedì 26 febbraio 2013

Street Art around the world. Ancora in viaggio

La rassegna di Street Art che mi vede in giro per il mondo (virtualmente s'intende, purtroppo!) continua e si inoltra per le strade di Managua, la capitale del Nicaragua. Ecco in quali opere mi sono imbattuta.

Brake Rivas. Managua, Nicaragua. 

Stchex, STK. Managua, Nicaragua. 

STK, Danser. Managua, Nicaragua.

Dorian Serpa. Managua, Nicaragua.


Di seguito invece ecco cosa offre Port of Spain, la capitale di Trinidad e Tobago



Invece a Santo Domingo Ana Leon e Luis Geraldino si sono cimentati in questa opera:


Nel mondo ci sono artisti di grande talento. Queste immagini ne sono la prova.


E voi cosa ne pensate, vi sono piaciute? Non fate i timidi e commentate!


Fonte: http://www.brooklynstreetart.com

Otto mondi d'immaginazione

L'uomo ha sete di lusinghe e fascinazioni dello sguardo. Il mondo dell'immagine ci attira, nello stesso ci perdiamo. Il silenzio non fa per noi, ricerchiamo il rumore, sempre e comunque, la solitudine ci spaventa, meglio farsi inghiottire dalla moltitudine. E diventare invisibili. A indagare la moltitudine sono intervenuti degli artisti giovani e dinamici, che vivono il nostro tempo, il loro tempo, come qualcosa di vulnerabile e in continua evoluzione. 

Otto mondi d'immaginazione per otto artisti/studenti provenienti dalla Malesia che hanno partecipato a un progetto di ampio respiro all'interno di uno studio specialistico  promosso dalla loro Università, la UiTM. Il curatore, Jalaini Abu Hassan, ha dichiarato a proposito del progetto che si tratta di "specific post graduate programme which caters to artists who want to take their art-making and studio practices to another level”. 
Dalle opere traspare un'inquietudine persistente, un'angoscia diffusa attenuata dalla ricerca estenuante, dalla costruzione di un ponte con un tempo passato e con modelli artistici appartenenti al passato. Mi riferisco a Marcel Duchamp che ritroviamo nelle opere di Mohd Azrin, uno degli otto artisti partecipanti al progetto, il cui pop surrealism si fregia di un immaginario linguistico differente da ciò che la West Coast ci ha abituati (andate a vedere le opere di Todd Schorr, esponente per eccellenza del pop surrealism della West Coast, e capirete subito di cosa sto parlando. Come nasce un artista: il pop surrealism di Todd Schoor dagli esordi fino allo show Merry Karnowsky Gallery).
Ho amato molto il collage illustrativo di Elis Mokhtar, quel suo modo di affondare le mani nella ricerca atavica delle nostre origini, così come mi ha pervaso del meraviglioso la narrazione pittorica elaborata da Hazrin Mohd Yusoff o l'arte digitale di Mohd Firdaus Mahadi.

Il progetto è confluito in una mostra inaugurata il 15 febbraio 2013 al Segaris Art Center e sarà visibile al pubblico fino all'11 marzo 2013. Lo so che la Malesia non è proprio dietro l'angolo quindi se volete potete vedere le opere e saperne di più direttamente suo qui, blog della Galleria d'arte. 

Elis Mokhtar

Mohd Firdaus Mahadi

Hazrin Mohd Yusoff

domenica 24 febbraio 2013

Gianni Rodari. Il gioco del niente.


"Il gioco del niente lo fanno i bambini stessi chiudendo gli occhi. Serve a dar corpo alle cose".

Gianni Rodari


Il Giornalista Digitale deve reinventare il proprio ruolo



Qualche mese fa parlavo del passaggio al digitale di Newsweek. La notizia ebbe un forte impatto sul mondo giornalistico non solo oltreoceano ma anche in Italia. Stava diventando sempre più forte la consapevolezza che il panorama informativo era (ed è ancora) in continua evoluzione. E non solo. Anche la figura stessa del giornalista è sottoposta a continui mutamenti. E' lui il primo a doversi reinventare. Il suo modo di lavorare è il suo biglietto da visita.

"Using the tools of social media, they follow their colleagues as competitive beat reporters to gain insight from them. Most important, they banter with them in full public view, a far more raw, if not real, version of any “news analysis” than shows up in newsprint" scrive Lewis DVorkin in un articolo che merita di essere letto non solo dai giornalisti ma anche dagli editori: Inside Forbes: A New Wave of Digital Journalist Is Showing a Profession the Way Forward. "Sometimes, they even ride the crest of a competitor’s scoop by filtering it through their own eyes for different audiences. They produce their own videos, photos and galleries and podcasts to extend their reach. And they trust in Google, angling stories (and a story’s headline) to give them the best chance of reaching the world" dice Lewis DVorkin.

Pescare storie interessanti dai social network, raccogliere notizie, capire in profondità quelle storie per poi stendere un articolo ipertestuale, conciso, completo di fonti, immagini, video, dove il punto di vista del giornalista non viene soffocato dalle citazioni. A tal proposito sarebbe utile leggere quanto ha dichiarato una settimana fa Frederic Filloux: "quotes will be used only for the relevant opinion of a source, or to make a salient point, not as a feeble attempt to prove professionalism or fairness". Si tratta di un lungo articolo in cui il giornalista riflette sulla necessità di un nuovo approccio alla scrittura e alla cronaca invitando a prendere come esempio i magazine, i blog e il new journalism degli anni '70. Vi invito a leggere l'intero post: The Need for a Digital “New Journalism”

E proprio partendo da Frederic Filloux, Giuseppe Granieri pone l'accento sulla necessità della "qualità della narrazione per migliorare l'efficacia tra l'informazione data e l'investimento di tempo chiesto al lettore per informarsi. Se tutte le notizie sono allo stesso click di distanza, bisogna dare al lettore un valore aggiunto per essere competitivi". Perché è necessario un nuovo giornalismo.

Mario Tedeschini Lalli riprende il concetto espresso da Granieri puntualizzando però che la storia del giornalismo italiano è "la dimostrazione che avere un “punto di vista” ed esprimere la propria “voce” (come dicono gli autorevoli commentatori stranieri) non è sufficiente. Forse nel nostro caso sarebbe opportuno un movimento in direzione opposta, verso una moderazione della “personalizzazione” e una maggiore sottolineatura del dato di cronaca". 

Sree Sreenivisan, chief digital officer della Columbia University, insegna agli aspiranti giornalisti della Columbia School of Journalism come utilizzare i social media per fare informazione. Ne ha parlato Serena Danna qualche giorno fa in seguito a un incontro a New York con lo stesso Sreenivisan.

Dunque, ricapitolando. 

  • Usare i tools dei social media;
  • Attenzione a come cambiano i lettori e alle loro esigenze;
  • Interagire con gli stessi, coinvolgerli in modo che loro possano diventare parte attiva della notizia;
  • Guardare al New Journalism degli anni '70 senza, con ciò, dimenticare l'importanza del dato di cronaca;
  • Dare visibilità alla propria voce;
Queste al momento sembrano essere le caratteristiche sulle quali il giornalista digitale deve reinventare il proprio ruolo. 

sabato 23 febbraio 2013

Anime and Manga Lovers

La giornata è cupa. Qui a Roma piove a dirotto da questa mattina. Nonostante il pallore, nella mia stanza ci sono luci e colori perché mi sto intrippando con questo sito. Gli amanti di anime e manga già lo conosceranno. Personalmente lo sto tenendo d'occhio da un po' e ogni volta scopro immagini stupende, dei veri artisti che si celano dietro a questi disegni. Quindi vi invito a visitarlo. Di seguito un assaggio di ciò che potrete trovare.









venerdì 22 febbraio 2013

The Knife. Pass it on


Per finire la serata. O per iniziarla...

L'arte di Damien Hirst alla White Cube Hong-Kong


Apre oggi, presso la White Cube di Hong-Kong, la mostra dedicata alle opere storiche e alle più recenti creazioni di Damien Hirst. L'estro di Hirst attraversa un linguaggio faceto, che va oltre la provocazione superandola. L'oscillazione tra pittura visionaria ed estetizzante e materia iconica, tra ricostruzione pop surrealista e decostruzione classicista è tanto evidente quanto disarmante.
Una poetica sfuggente che mira alla commercializzazione così come alla valorizzazione della stessa in un contesto artistico che vive delle sue stesse contraddizioni. 

Tityus


Supreme Being

Monochromatic Sectors from a Primary, Secondary & Tertiary Colours 




Street Art around the world. Il viaggio continua

Continua la rassegna dedicata agli street artist e alle loro opere in giro per il mondo. Vorrei iniziare presentando Eduardo Kobra che ha ricordato con una meravigliosa opera, proprio in questi giorni, l'architetto brasiliano Oscar Niemeyer scomparso lo scorso dicembre all'età di 104 anni. Trovate qualche informazione in più proprio qui.


Spostandoci in Europa, e più precisamente a Galizia in Spagna, incontriamo l'opera di Sokram. Un esempio di come l'arte riesca ad interpretare le letture bibliche. Ma cliccate qui per saperne di più


In Francia, a Vitry-sur-Seine, C215 colpisce ancora con un'opera spettacolare, romantica. Sognante. Se non siete convinti cliccate qui




giovedì 21 febbraio 2013

Fotografie. Riflessioni.



Ho fatto delle foto. Ho fotografato invece di parlare. 
Ho fotografato per non dimenticare. Per non smettere di guardare.
Daniel Pennac.

Appunti dal mondo. Photojournalism? Un bambino nel mirino di un soldato

Che cosa diceva Robert Doisneau sulla fotografia, su ciò che deve trasmettere? E Steve McCurry? Non a caso prendo come esempio due fotografi che amo, che spesso ho ospitato su questo blog. Non a caso, dico. Perché stamattina è questa la foto nella quale mi sono imbattuta.


Le parole si frantumano. Rompono il silenzio ma resta il vuoto. Pubblicata sul profilo Instagram del soldato israeliano che, stando alle fonti, l'avrebbe scattata e resa noto al pubblico del social network, la fotografia che rappresenta un bambino palestinese nel mirino di un soldato israeliano sta facendo il giro del mondo.

Non voglio aggiungere nulla. Vorrei solo che guardaste la foto e che vi fermaste a pensare. Quando avrete finito vi invito ad ascoltare questa Ted Talks che raccoglie la testimonianza del grafico israeliano Ronny Edry ideatore del manifesto Iranians we love you.




mercoledì 20 febbraio 2013

Pearl Jam. Just Breathe


Una canzone per questa serata. O almeno per la prima parte della serata.

Anne-Lise Grobéty. Morire in febbraio



Un dito guarda la luna.
Peccato per chi guarda il dito.


E' difficile accostarsi a un libro come quello scritto da Anne-Lise Grobéty, Morire in febbraio (Il dito e la luna), così com'è difficile avvicinarsi ai libri dalla prosa lirica, quei libri di piccole dimensioni ma di grande umanità. Non saprei da dove partire perché temo di calpestare una terra già sconvolta da anni di conquiste predatorie, colonizzazioni, guerre fratricide. La difesa sembra l'unica arma a disposizione, la retorica l'ancora di salvezza scontata.

Se provassi a ripulire questa terra, resterebbero probabilmente solo le parole. Niente nomi, niente giudizi (se non quelli dell'autrice), qualche ricordo, livido, impreciso, pallido, fievole come la voce della narratrice che ci accompagna in una storia in cui le cose bisogna saperle chiamare, o non chiamarle affatto.
"A volte bisognerebbe sapersi tenere le cose senza un nome, come trovatelli, cose belle come avere caldo e avere freddo e potersi spogliare e potersi coprire, o lasciarle andare, perché si deve, perché si vuole, non perché non si sa come chiamarle".
E' necessaria una nota biografica. Anne-Lise Grobéty è stata una delle scrittrici svizzere riconosciute a livello internazionale. Pour Mourir en Février ha ottenuto il Premio Georges-Nicole. E' scomparsa il 5 ottobre del 2010 dopo una lunga malattia.
All'epoca ero impegnata in un giornale e insegnavo, stavo anche completando un romanzo mai pubblicato. In quel periodo, dicevo, ero molto presa da me e la notizia mi era sfuggita. Venni a sapere della morte di Anne-Lise molti mesi dopo su internet, quasi per caso. Da allora di tanto in tanto rileggo qualche pagine del suo romanzo.

Aveva diciannove anni quando Anne-Lise pubblicò questo romanzo. Immagino lo scalpore, immagino le critiche anche tra i giornalisti, tra i letterati. Eppure qualcuno, che ha letto a fondo questo libro, ha avuto il coraggio di attribuirgli il riconoscimento che merita attraverso il Premio Georges-Nicole. 
La storia narra "il rapporto d'amicizia" tra Aude, una diciottenne poco avvezza alle cose della vita, e C. trentacinquenne divorziata, intelligente, matura, affascinante, capace di gestire le cose della vita. Aude si aggrappa a questa amicizia. Ma è poi corretto chiamarla così? Si può darle un nome?

Le accuse si insidiano tra loro. Aude è giovane, ha paura, si fa coinvolgere dalle dicerie. Sono loro la causa. Un plurale che racchiude genitori, amici, parenti, malelingue, chiunque abbia intralciato l'amicizia tra Aude e C.
Dopo resta solo il vuoto. 
"Ero così vicina a te che vicino agli altri ho freddo"
Aude si allontana da C.
O forse sarebbe meglio dire che viene allontanata. 
"Con Aude abbiamo avuto dei problemi fin da quando era piccola, un carattere insopportabile, insolente" 
Le parole della madre allo psicologo:
"litigava sempre con i bambini del cortile; un'indole ribelle"
Si è ribelli quando si sfugge all'ipocrisia, quando ci si sottrae a chi vuole spezzarci le ali, quando si rifugge dalle gabbie dorate. Quando si dice no, perché è così che deve essere. Allora si diventa ribelli, strani, e i giudizi ci scivolano addosso. Come dice la protagonista, "... d'altronde sono la sola a poter giudicare ciò che voglio ricordare di noi due...".

Colori. Poesie. Fotografie.


E desidero solo colori. I colori non piangono, sono come un risveglio: domani i colori torneranno. Ciascuna uscirà per la strada, ogni corpo un colore - perfino i bambini.

Mi sono svegliata leggendo. Mi sono svegliata e tra le mani tenevo strette queste parole. Le stringevo anche con gli occhi. Volevo sentirmi sopraffatta dai colori di cui parla Cesare Pavese. Sono giorni di ricerche, letture, racconti, libri. Sono giorni di pagine strappate e riscritte. Di bozze e di pensieri. Riesco a fare tante cose. Riesco anche a ritrovarmi. Merito mio, merito di chi mi circonda. 

Ho cercato i colori. Li ho trovati e li ho voluti condividere con voi cambiando le immagini di apertura al blog. La fotografia scattata da Kate Bellm, fotografa di origine londinese che vive e lavora a Berlino, ritrae (sì, uso questo verbo come se si trattasse di un quadro, in fondo lo vedo così come un grande e favoloso dipinto) un gruppo di skateboarder mentre si esibiscono con i colori. Di seguito il video. #davedere!



I colori non piangono, sono come un risveglio. Le parole di Cesare Pavese sono imperiosamente fiabesche. Sognanti. Con un accenno di nostalgia, e questo, forse, perché ripenso alla poesia nella sua totalità. Eppure se unisco queste parole a un'altra fotografia postata come immagine d'apertura, mi riferisco alle Holi Girls, la nostalgia cede il posto all'euforia della rinascita. Estatica visione dell'attesa.

Steve McCurry


E c'è il silenzio, la meditazione, la riflessione a placare gli animi a ricordarci che tutto attorno a noi diventa gestibile e fattibile solo se lo vogliamo. E che il risveglio serve anche a questo a farci capire quanto è gestibile una situazione. O una persona. O semplicemente noi stessi. 

Alexandra Valenti

domenica 17 febbraio 2013

La voce di Gabriele Basilico




Le linee. I punti. E l'incrocio tra linee e punti. Un gioco, come quelli che facevamo da bambini quando dicevamo tra di noi, tra noi piccoli, "facciamo finta di". Ecco, una fotografia che fa finta di essere qualcosa d'altro. Che vuole essere qualcosa d'altro. E ci riesce. Alla fine di una ricerca, alla fine di una estenuante ricerca.

Amo la fotografia. Non la pratico, non è il genere di cose che mi riescono bene, però amo guardare le fotografie, osservare, ammirare, stupirmi mentre mi stupisco, pensare, divagare, sconcertarmi. Angosciarmi. A volte ho bisogno di tutte queste sensazioni messe insieme altre volte ho bisogno di una sola di queste. Mi ci aggrappo.

Con le fotografie di Gabriele Basilico è un po' così, nel senso che mi sono sempre sentita sopraffatta dalla loro perfezione, dalla ricerca sontuosa e algoritmica raccontata dai soggetti immortalati: città, spazi urbani, rovine. La Lettura dedica la copertina di oggi al fotografo milanese scomparso il 13 febbraio. L'ultima pagina accoglie un memorandum (se potete concedermi questo termine) commovente per come viene riassunta la voce di Basilico. 

E' un racconto paziente quello di Basilico, in continua espansione, che raccoglie indizi, che vuole carpire il senso della città stessa tenendo a bada "quella vertiginosa sensazione di possesso che un'immagine troppo rapida e furtiva può restituire".







venerdì 15 febbraio 2013

Steve McCurry. Viaggio intorno all'uomo

Visitando la mostra di Steve McCurry al Macro Testaccio a febbraio dell'anno scorso. Raccontando quello che mi sarei aspettata, scoprendo tutt'altro. Un mondo altro. Guerre, dolore, solitudine. Ora una nuova mostra celebra uno dei fotografi che amo maggiormente. A Genova più di 200 fotografie accompagneranno i visitatori in un viaggio oltre l'uomo, oltre il conoscibile.