lunedì 30 settembre 2013

Sonic: Martin Klimas torna alla Foley Gallery

La Foley Gallery ospita Sonic di Martin Klimas, l'artista di Düsseldorf coinvolge, per la terza volta, il pubblico della grande mela raccontando ciò che vediamo quando ascoltiamo musica. Fino al 3 novembre.

Miles Davis "Bitches Brew", 2011


Si circonda di un ambiente minimalista. Martina Klimas (1971, Singen) ha la situazione sotto controllo: nella stanza ci sono lui, la telecamera, la vernice e l'altoparlante. Quello che avviene tra il momento in cui l'artista versa la vernice sul diaframma dell'altoparlante protetto e l'attimo, brevissimo, senza respiro, in cui la vernice schizza in alto producendo suoni colorati è stato spiegato qui. E' un lavoro che implica precisione e pazienza. Martin Klimas sceglie solo l'immagine migliore, quella che suggestivamente racconta al meglio la trasformazione. Il risultato finale non è mai ciò che immaginiamo, ma è qualcosa che trascende il nostro stesso pensiero. Dal tracciato pollockiano al movimento di Muybridge agli studi di Edgerton, la storia della fotografia s'insinua nel lavoro di Klimas per cercare "le relazioni con il tempo, la bellezza e la distruzione". Sonic ospita anche lavori del 2005 tra cui Flowers, Kung Fu e la serie di Nymphenburg. La porcellana che si schianta producendo una quantità indefinita di pezzi è l'emblema di ciò che può nascere dal caos. L'artista di Düsseldorf risente probabilmente anche della filosofia di Nietzsche che scrive in "Così parlò Zarathustra": "Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante".

Pink Floyd "On the Run", 2011

Pink Floyd "Time", 2011

Prince "Sign 'O' The Times", 2011
New York // fino al 3 novembre 2013
Martin Klimas - Sonic
Foley Gallery
97 ALLEN STREET NEW YORK NY 10002
NFO@FOLEYGALLERY.COM



giovedì 26 settembre 2013

Urs Fischer sbarca alla Gagosian Gallery di Roma



Questo articolo è uscito sulla rivista Wall Street International.

Senza fiato il pubblico che, alla Biennale del 2011, ha ammirato l'opera di Urs Fischer (Zurigo, 1973) la candela in scala in scala 1:1 de Il Ratto delle Sabine di Giambologna. Allora la Biennale ha consegnato le gesta di un artista che ha elaborato il concetto di transitorio nell'arte contemporanea, riassumendo la precarietà dell'opera stessa e il riconoscimento dei confini dell'artista (non più estesi oltre l'immaginazione ma racchiusi entro il suo stesso recinto) facendo leva sul concetto, probabilmente heideggeriano, della finitudine dell'uomo.

Un anno dopo Urs Fischer è a Palazzo Grassi a Venezia, dove provocazione e ironia sono il sostrato artistico sul quale regge il mondo capovolto dell'artista. Un mondo senza regole, dove plasticità dei materiali e vacuità del contenuto spiazzano il pubblico coinvolgendolo, tuttavia, in un percorso in cui gli echi surrealisti si mescolano con l'arte classica e la matrice americana sfacciatamente pop dell'ultimo ventennio. Per non parlare di quanto l'artista zurighese è stato acclamato durante le personali da Gavin Brown, Eva Presenhuber e Sadie Coles: fascinazione e misticismo sono state le componenti che hanno attirato il pubblico verso le sue opere.

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Surrealismo trascendentale: Samantha Keely Smith

Al Dumbo Arts Festival, Samantha Keely Smith presenterà i suoi ultimi lavori. Dopo aver esposto nelle più importanti gallerie di New York, l'artista torna sulla scena portando il surrealismo trascendentale oltre ogni limite.



Samantha Keely Smith (Harlow) indaga il dualismo tra mondo esterno, coacervo di esperienze sensoriali, e il mondo interno, fucina del trascendente nel senso più puro del termine. Fisicità e astrattismo. Le opere per la Gavin Spanierman Gallery o per la DUMBO Projects Space rappresentano un lavoro di continua esplorazione sui due mondi; il dualismo non si risolve ma si alimenta all'interno di un sistema contraddittorio per sua stessa natura. Sono taglienti le pennellate che accompagnano l'ordine e il caos dei paesaggi della Smith, eppure c'è una certa morbidezza dalla quale non si riesce a sfuggire e quasi ci si sente avvolti. Accecati dalla luce calda e intensa, riusciamo a intravedere un paesaggio sfocato, una struttura surreale retta da uno spazio spirituale.











DUMBO Arts Festival // 27,28,29 Settembre 2013
Samantha Keely Smith
http://dumboartsfestival.com/

Uno sguardo sul Novecento russo: Kandinsky, Malevič, Filonov e Gončarova in mostra a Palazzo Strozzi



Questo articolo è uscito sulla rivista Wall Street International

A metà degli anni novanta, durante il periodo gorbacioviano, l'Occidente prima e lo stesso Oriente poco dopo hanno iniziato a guardare con interesse alla cultura russa del primo novecento realizzando un fervente percorso passando dalle istanze moderniste alle ideologie futuriste. Il risveglio del mondo dell'arte nei confronti della cultura russa è opera di Camilla Gray, giovane, attraente e illuminata ragazza di buona famiglia, figlia dell'allora direttore del British Museum di Londra e, successivamente, moglie di una delle figure di spicco dell'elite moscovita, il figlio di Sergej Prokofiev. La curiosità della Gray e la sua insaziabile sete di conoscenza la portarono ad approfondire le sue ricerche e i suoi studi su artisti che, nel tempo, divennero centrali all'interno del discorso dell'avanguardia russa.

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giovedì 19 settembre 2013

Vita e morte della montagna di Antonio Bortoluzzi




Quando mi hanno proposto di recensire il libro finalista del Premio Calvino, Vita e morte della montagna di Bortoluzzi (Edizioni Biblioteca dell'immagine) non avrei mai pensato di restarne folgorata. Anzi, forse non è neppure la parola esatta. A dire il vero il libro ha toccato una nota personale che avevo accantonato, stropicciata tra un impegno e l'altro della vita, ricacciata al suo ruolo di pensiero prima di addormentarsi. Ebbene, questo libro ha avuto la forza di far vibrare quella nota, in quell'angolo nascosto, umido,  un angolo che non amo illuminare, che volutamente tengo al buio, perché è emotivamente dispendioso fare luce sul passato.

Scrivendo la recensione (e per chi vorrà leggerla, in fondo metterò il link) ho scritto queste parole: "Ce le ricordiamo sempre troppo tardi, le nostre radici. Quando accade che un dolore squarcia il velo d’inconsapevolezza che tanto ci piaceva e col quale avremo voluto nasconderci ancora per un poco, è in quel momento che ci si accorge, allo stesso modo di come è accaduto a Giacomo Casàl, che il tempo scivola tra le dita come acqua e non si riesce ad arginare questo alluvione, che trascina con sé tutto, anche noi stessi. E succede, anche, che è troppo tardi per rimettere in fila le parole e scegliere quelle giuste, è troppo tardi perché il tempo si è portato via anche le persone e quel che resta è un cumulo di terra. Facciamo a pugni con quella, finché la rabbia non lascia il posto alla fatica".

Ho sentito una specie di rottura quando ho finito di scrivere. Come se avessi liberato una verità che tenevo nascosta da troppo tempo. Vita e morte della montagna è un romanzo sulle radici, sugli abbandoni, sulle cose che non si dicono, su quelle che vorremo pronunciare ma ci manca il coraggio e ce lo ricordiamo dopo anni, quando è troppo tardi. E' anche un romanzo sul tempo che ci strangola e gli effetti che può avere sulle nostre vite. 

Ci sono momenti in cui credo di aver scritto parlando del mio dolore che, tuttavia, ricalca quello del protagonista. Siamo simili. Siamo dannatamente simili. Veniamo dai campi, dallo sterco, dal fango e dalla nebbia. Abbiamo abitato case fredde costruite con lo sforzo di uomini ingenui, abbiamo lottato contro la povertà e alla fine ci siamo trovati a fare a pugni con il passato. 

Se vuoi qui la recensione 


venerdì 13 settembre 2013

La voce del mare


Quante volte ho cominciato di nuovo, in questa vita.

Segreti svelati di Alice Munro.



Quando penso ai racconti di Alice Munro, mi torna alla mente una matrioska. Ne ho una antica nella credenza in sala. La conservo con la stessa cura che mia nonna ha per le foto di famiglia, pulendola ogni giorno e rimettendola nell'esatto punto in cui l'ho trovata. Come a dire: quella è la sua casa, è lì che deve stare. Provo sempre stupore e anche una certa dose di contemplazione quando apro la matrioska e ne scopro altre, piccole e poi sempre più piccole all'interno. E' come trovarsi di fronte a una rinascita. Ebbene credo che sia questo ciò che più mi affascina dei racconti di Alice Munro. La rinascita, la scoperta, meraviglia e stupore, quel brivido che percorre la schiena mentre si gira pagina e il racconto è già finito. Una scrittura che stronca le emozioni. La passione cessa quando il mistero riesce ad avere la meglio.

Segreti Svelati (La Tartaruga Edizioni 1994 / Einaudi 2008). Il titolo preannuncia il disgelo dei silenzi, quello che emerge dal fango è un concentrato di verità e ricordi, cose fatte in casa e cose realmente accadute. Un po' la materia di cui sono fatti i racconti della Munro. Non si sa mai se ci si trova davanti a un fatto accaduto veramente oppure se la rielaborazione narrativa ha stravolto l'intera vicenda. Dopotutto lei stessa ha dichiarato, qualche anno fa, in un' intervista al Wall Street Journal che: "Alcune cose sono accadute realmente, ma per la maggior parte si tratta di cose quasi accadute, o che avrebbero potuto accadere. Cose della mia vita intorno a cui giro, per vedere come sarebbe andata se. È una specie di investigazione sul modo in cui le persone si comportano, o sul modo in cui alcune persone in particolare si comporteranno". E proprio la parola investigazione deve far riflettere. Nei suoi racconti il mistero tormenta il lettore fin dalle prime pagine e lo sgomento di un "caso irrisolto" o di una conclusione appena abbozzata spinge a continuare la lettura per cercare altri indizi, altri frammenti che, uniti, possano completare il quadro. Segreti svelati è l'emblema di questo processo investigativo che porta alla ricerca della verità attraverso ogni mezzo. 

Ogni racconto mette a nudo la vita quotidiana di donne, diverse tra loro, ma accomunate dalla ruralità dell'Ontario, dalla spietata solitudine del Canada, dalla desolazione di una terra che si perde tra boschi e cascate rivelando ben presto l'inefficacia verso i rapporti umani. Louise, Gail, Hearther, ma anche Annie, Maureen e Lottar sono solo alcuni dei nomi che si possono incontrare. Ogni racconto è uno squarcio sulle loro vite. Si conoscono i particolari di un'intimità violata, di una vita interrotta, di un matrimonio alla deriva, di un'esistenza dedita alla ricerca di se stessi. Nessun piagnisteo. Nessun lamento, nessuno gesto di rabbia repressa. Quste donne accettano l'esistenza come se non vi fosse altra scelta e quando scoprono la devastazione di una vita non vissuta si affannano per una via d'uscita. Ripongono le loro forze nei ricordi, nel passato che potrebbe dare loro spiegazioni sui motivi di scelte sbagliate, sperano che un viaggio o una lettera o un incontro possa restituire quella sapiente lucidità atta a svelare anche il più insignificante dei dettagli.

giovedì 12 settembre 2013

Street Art e Installazioni a Perugia

L'artista è un piccolo dio con un dolore.
Ortega



E la terra bagnata
e i neri altissimi monti
tacevano vinti. Sembrava
che un dio cattivo
avesse con un sol gesto
tutto pietrificato.

E la pioggia lavava quelle pietre.
Sandro Penna









giovedì 5 settembre 2013

Mariapia Veladiano, Il tempo è un dio breve.



Questa recensione è uscita sulla rivista Letteratu.

Il dolore si tramanda. Si aggroviglia attorno alle nostre esistenze  ci accompagna, passo passo, come un ospite indesiderato, consapevole parassita. Allo stesso modo avviene per i mali che affliggono lo spirito e l'anima, Lo sa bene Ildegarda, protagonista del secondo romanzo di Mariapia Veladiano, "Il tempo è un dio breve" (Einaudi), che setaccia la sua vita dal momento in cui il marito l'abbandona all'incontro che le stravolgerà l'esistenza. 
E' un dolore di occhi, di mani, di corpi che non si ritrovano, un dolore fatto di solitudine, che squarcia la superficialità del quotidiano e affonda le sue ragioni nel passato, avviluppando mente e corpo e spossando lo spirito.

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Settembre.

Questo è un giovedì di sole e vento fresco, di pacchi da scartare, di buste da aprire, di mail da leggere. E' un giovedì che inaugura una stagione interessante. Di solito uso la parola umanità quando provo le sensazioni che mi travolgono in questo momento. Però non so se si tratta di umanità o di infinita gratitudine per quel che sta accadendo. A volte mi sento particolarmente sola. Oggi mi sento particolarmente felice. 

Vi regalo una fotografia. A me ricorda quella #ruralità che sto conservando con tanta gelosia. I #PaesiTuoi che ho lasciato sembrano tanto lontani da sentirne a malapena l'odore.

Gianni Berengo Gardin 1961

E una frase di Alda Merini che riempie il cuore e fa star bene all'istante.

“Beati coloro che si baceranno sempre al di là delle labbra, varcando il confine del piacere, per cibarsi dei sogni.”



lunedì 2 settembre 2013

Legami e corrispondenze. Immagini e parole attraverso il '900 romano.




C'è una corrispondenza liquida che gode di una rincorsa culturale difficilmente riscontrabile in altri periodi storici e che, al contrario, in quel frastagliato momento concentra la sua energia e il suo slancio vitale nei talenti dell'epoca. Si tratta del Novecento romano, i decenni si snodano su foglie sciolti, articoli di giornale, libri che hanno visto riconoscimenti nazionali e altri, invece, che hanno faticato a trovare un luogo di rappresentazione. Si tratta di un periodo ambiguo, socialmente ed economicamente parlando, eppure multiforme per quanto concerne la cultura. 

Legami e corrispondenze che si creano tra parola e immagine, testo scritto e disegno. Ed è proprio questo il titolo della mostra visitabile fino al 29 settembre presso la Galleria d'arte Moderna di Roma. Gli esponenti della letteratura italiana del Novecento romano (D’Annunzio, Marinetti, Pirandello, Moravia, Ungaretti, Bontempelli) vengono presentati in più vesti, delineando i contorni di un fermento che di rado si sofferma alla forma ma spazia dal racconto realistico alimentato dall'elemento magico al bisogno della visione, dell'improbabile, del futurismo. La mostra è articolata secondo una logica cumulativa; si percepisce un fil rouge sotterraneo, lo si segue con gli occhi e la mente e si viene sopraffatti dalle emozioni: solitudine, ricerca d'identità, bisogno di raccontare l'altro per sfuggire da se stessi, immaginazione, distacco dalla realtà. 

Un percorso formativo che tende a illustrare, senza tralasciare nulla, l'immagine di un dramma raccontato, affrontato, a volte svilito, una ricerca personale che diventa pura umanità astratta sì ma non per questo sfigurata bensì delineata da una dialettica precisa nella quale confluisce il pensiero di un secolo di emozioni.

Informazioni Utili
Legami e corrispondenze. Immagini e parole attraverso il '900 romano.
GNAM - Galleria Nazionale d'Arte Moderna
Viale delle Belle Arti, 131
00196 Roma
Tel. 0039 06 322981
e-mail s-gnam@beniculturali.it

domenica 1 settembre 2013

Città aperta di Teju Cole


Questo articolo è uscito sul blog Sul Romanzo.

Quando penso a New York la memoria sfoglia i versi di García Lorca, una scrittura limpida, trasparente, asciutta pur nella sua complessità simbolica, nella sua intricata, e per questo affascinante, matrice multiculturale che affonda le radici nei gitani dell'America Latina per poi rovesciarsi nella dinamica e intraprendente New York rappresentata ora dai negros di Harlem ora dalla solitudine del poeta che vive di ricordi e rimpianti, tentando di uscire dal fango nostalgico per costruire un presente nel quale possa trovare un ruolo e una collocazione. La vasta umanità di Lorca spinge a immaginare una città desolatamente vuota, dove il contatto viene raggiunto con fatica e dolore; una città che potrebbe dirsi piena di sé a tal punto da non lasciare spazio per nessun altro.
Questo pensavo di New York fino a quando non ho letto Città aperta di Teju Cole (traduzione di Gioia Guerzoni, Einaudi, 2013).

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