venerdì 31 maggio 2013

Amarcord: Linus tra fumetti e giornalismo


Questa recensione è uscita sulla rivista Caffè News.

Lo senti quando arrivi al cuore di una persona attraverso la parola scritta. Lo senti anche se il lettore non è davanti a te, anche se sai che non avrai mai l’occasione di incontrarlo. Lo senti perchè percepisci un contatto mentale, una scintilla che, per quanto effimera possa essere, rappresenta comunque lo sfiorarsi di due anime. Amanda Palmer, nel suo travolgente intervento al TEDTalks, racconta in prima persona cosa significa contatto (visivo e non). Credo che i collaboratori e lo stesso direttore di Linus, con tutte le mutazioni che il tempo ha portato con sé, abbiano avvertito negli anni la vicinanza dei lettori, la comunione con il pubblico tanto che, rubando l’espressione alla Palmer, per poco non si innamoravano l’uno dell’altro.

giovedì 30 maggio 2013

TED TALKS. Amanda Palmer: l'arte di chiedere

Se avete quindici minuti di tempo spendeteli bene e guardate questo video. Ascoltate Amanda Palmer, una donna di grande intelligenza e sensibilità. Ce ne sono poche di persone come lei. Mi sono commossa quando ho ascoltato questo video, ma credo che lo ascolterò di nuovo e poi ancora e ancora. Abbiamo (e scusate se uso il plurale) molto da imparare da lei. 

Credo che le persone siano ossessionate dalla domanda sbagliata che è: "come faccio a far pagare la gente per la musica?". E se cominciassimo a chiedere: "come consentiamo alla gente di pagare per la musica?" A.P.





ps: se avete bisogno della traduzione vi consiglio di guardare quest'altro video: http://bit.ly/YEncPZ

Siamo tutti coinvolti: la convenzione di Istanbul e la lotta contro la violenza sulle donne



Oggi nell'editoriale uscito per la rivista Caffé News parlo del valore del voto unanime per la Convenzione di Istanbul nella lotta contro la violenza sulle donne. Ora il testo passerà in Senato. Ed è in quella sede che si parlerà anche dei costi finanziari necessari per un concreto intervento. Mi piacerebbe vedere i commenti non solo delle donne ma anche degli uomini che mi seguono in questo blog o di coloro che capiterà qui per caso oggi o nei prossimi giorni.

Leggi tu stesso e fatti un'idea: Essere donne in tempi di femminicidio

mercoledì 29 maggio 2013

#WCAP: Working Capital di Telecom Italia punta sul talento delle startup



"Nothing is a mistake, there’s no win and no fail. There’s only make"
John Cage


Chi ha un progetto o un'idea innovativa in ambito internet, digital life, mobile evolution e green può seriamente pensare a tradurre il tutto in un'impresa. E questo grazie a Working Capital, il programma di Telecom Italia, che ha deciso di puntare sulle startup
Attraverso l'apertura di tre incubatori, rispettivamente a Milano, Roma e Catania, Salvo Mizzo, il responsabile del programma e Marco Patuano, amministratore delegato, gettano le basi solide di un progetto che ha visto la luce nel 2009. 

Working Capital mette a disposizione 30 borse di studio da 25mila euro ciascuna; la scadenza per la presentazione della propri idea è il 30 settembre mentre per far parte degli incubatori c’è tempo fino al 30 maggio. Far parte dell'incubatore significa anche avere la possibilità di entrare nell’elenco dei fornitori certificati oltre al sostegno dei primi 100mila euro rilasciati da Telecom qualora un'azienda dovesse scegliere come fornitore una delle startup degli incubatori.  

Tra le novità di questa edizione vi è Repository WCAP, una piattaforma che permette la consultazione dei progetti da parte di investitori nazionali e internazionali. La piattaforma è nata dalla collaborazione con Kauffman Foundation, prestigiosa fondazione per quanto concerne il sostegno alla nuova imprenditoria.  
E c'è già chi, tra addetti ai lavori e giovani imprenditori, ne parla e discute sui social network. E per la prima volta, almeno in Italia, si aprono le porte al talento

TED TALKS. Juan Enriquez: La vostra vita online, permanente come un tatuaggio

Quattro argomenti che ovviamente vanno insieme: grandi numeri, tatuaggi, immortalità e i Greci.


lunedì 27 maggio 2013

Come Sylvia Plath mi ha affascinata



E' stato un verso tatuato su un braccio ad avvicinarmi alla poesia di Sylvia Plath.
Durante l'adolescenza ero troppo scaltra per precipitare nella lirica palpitante della Plath ma ero, al contempo, una grande sognatrice per non inciampare, prima o poi, tra le sue poesie. E se durante il liceo il professore d'inglese mi regalò momenti meravigliosi grazie ai versi della Plath, quell'energia espressiva, quella profonda coscienza di sé, quel spasmodico e logorante bisogno di affondare le mani nel dolore, quel rimestare nella sofferenza per ricavare altra sofferenza, vennero a me qualche anno dopo, grazie a una ragazza.

Ancora dopo anni di letture altalenanti, a tratti incostanti, spesso tardive, mi sembra di non conoscere abbastanza questa donna che ha scritto con la mente ricca e il cuore gonfio.
Era lei che citava, nei suoi articoli di giornale e nelle sue lettere, De Chirico, Gauguin, Goya, Klee, Picasso ed è sempre lei che parlava di "disperato amore del vivere", rubando le parole a Giovanni Giudici. Fu lei a correre sul binario parallelo a quello della morte, in un costante ossimoro che toglie il respiro anche a chi la legge.
Ed io. Ignara della limpida profondità dei suoi versi, mi accostai alla sua poesia con la baldanzosa pretesa di carpirne il significato, di riuscire a combaciare le rime con i pensieri, di riempirmi la bocca con parole troppo grandi per la mia portata e tutto questo per il solo fatto che ammiravo, esteticamente, Silvia, la ragazza che si è fatta tatuare sul braccio un verso di Sylvia Plath.

Non credo che lei, Silvia intendo, l'abbia mai capito. Anzi credo proprio che non se ne sia neppure resa conto. E questa è la storia, bizzarra se volete, di come Sylvia Plath mi abbia affascinata.   


L’aspirante

Prima di tutto ce li hai i requisiti?
Ce l’hai?
Un occhio di vetro, denti finti o una gruccia.
Un tirante o un uncino,
Seni di gomma, inguine di gomma,

Rattoppi o qualcosa che manca? Ah
No? E allora che mai possiamo darti?
Smetti di piangere
Apri la mano.
Vuota? Vuota. Ma ecco una mano

Che la riempie, disposta
A porgere tazze di tè e sgominare emicranie,
E a fare ogni cosa che gli dirai,
La vorresti sposare?
E’ garantita,

Ti tapperà gli occhi alla fine della vita
E del dolore,
                                                                                                                                                                                                                                     Con quel sale ci rinnoviamo le scorte.
Vedo che sei nuda come un verme –

Un po’ rigido e nero, ma niente male,
Lo vorresti sposare?

E’ impensabile, in frantumabile, abile
Contro il fuoco e imbombardabile
Credi a me, ti ci farai sotterrare.

E adesso, scusa, hai vuota la testa
Ho la cosa che fa per te.
Su, su, carina, esci fuori dal guscio.
Ecco, ti piace questa?
Nuda per cominciare come una pagina bianca.

Ma in venticinque anni d’argento,
D’oro in cinquanta, potrà diventare,
Una bambola viva, sotto ogni aspetto.
Sa cucire, sa cucinare,
Sa parlare, parlare, parlare.

E funziona, non ha una magagna,
Qua c’è un buco, che è una manna.
Qua un occhio, una vera visione.
Ragazzo mio, è l’ultima occasione.
La vorresti sposare, sposare, sposare?

giovedì 23 maggio 2013

Workshop di Giornalismo Digitale: al Corriere della Sera #Innovationjournalism



Presso la Sala Buzzati al Corriere della Sera si è tenuto, nella giornata di oggi, il secondo workshop sul giornalismo digitale. Come tanti, ho avuto la possibilità di seguirlo su twitter con l'hashtag ufficiale #innovationjournalism. Daniele Manca, vicedirettore del Corriere, Massimo Sideri, giornalista del Corriere, Mindy McAdams, docente dell'Università della Florida, Rick Berke, responsabile Video per New York Times, Paul Lewis, Special Projects Editor del Guardian, sono tra i nomi che hanno dato grande apporto all'evento. Di seguito riporterò i tweet che ritengo di fondamentale importanza e che potrebbero essere spunti di riflessione per futuri articoli miei e vostri.











Nessuno può portarti un fiore di Pino Cacucci.

Questa recensione è uscita sulla rivista Letteratu.



Non sono qui per chiedervi
né vita né perdono
ma per dimostrare a tutti 
chi veramente sono:
non un assassino, un ladro o un traditore
ma un essere qualunque, con una testa e un cuore
(Carlo Giuliani)

L’unico modo per far rivivere la storia è raccontarla. E riprendendo in mano l’ultimo romanzo di Pino Cacucci, Nessuno può portarti un fiore (Feltrinelli, 2012), penso a quella frase di Dario Fo, quasi un grido all’umanità tutta, “la cultura non la si può ottenere se non si conosce la propria storia”. Con la sua ruvida scrittura, con quel tono graffiante e accorato, Cacucci getta luce sul circolo vizioso creato dalle ingiustizie scavando nella memoria collettiva e ridando voce a personaggi che la storia ha voluto affossare sotto ad una coltre di silenzi. Antonieta, Sylvia, Edera, Lulù, Horst, sono solo alcuni dei volti che, attraverso le parole di Cacucci, raccontano la loro vita associata nel corso degli anni, con troppa facilità, a un bailamme giuridico che ha screditato tanto queste vittime inconsapevoli, quanto il nostro stesso “disgraziato paese”.

Sarà proprio Edera a giudicare l’Italia un paese disgraziato, la ragazza bella e sfrontata di Monterenzio, la ragazza con il cuore agitato da un impeto che non conosceva precedenti, a spronare i suoi coetanei perché salvino l’Italia, perché non è sufficiente nascondersi, bisogna armarsi di coraggio e prendere in mano la situazione. Ogni capitolo del libro è dedicato a giovani ribelli, a ragazzi impulsivi, animati da un fervore nostrano che risponde ad un bisogno comune: ritrovare la speranza nel futuro, riuscire a coltivare i sogni che, talvolta, con estrema crudeltà e con grande sagacia, sono stati frantumati, imbrattati e insanguinati di vergognosi insulti.

Ho sfiorato il dolore di Antonieta, una ragazza che, nei primi decenni del Novecento, ha speso l’eredità paterna per promuovere l’arte d’avanguardia e i musicisti, una donna di grande cultura, traduttrice di André Gide, autrice di saggi e articoli di critica teatrale. Antonieta ha difeso la sua libertà culturale fino alla fine, ma nulla ha potuto salvarla da una solitudine maldestra causata da chi, suo marito in primis, non è riuscito a capire quanto era vasto il suo cuore e quanto erano grandi i suoi sogni. Mi sono buttata a capofitto nella storia di Sylvia Ageloff, una vicenda intricata in cui i servizi segreti russi e il fanatismo stalinista uccisero la sua dignità di donna oltre agli ideali nei quali credeva. Ho sofferto per Horst Fantazzini, quell’uomo che i benpensanti hanno giudicato un caso irrimediabile ma, a ben guardare “come si può giudicare il gesto di un uomo che ha subìto trentaquattro anni di non vita senza aver tolto mai la vita a nessuno?”.

In apertura Pino Cacucci riporta i versi di Carlo Giuliani: “non sono un assassino, un ladro o un traditore, ma una persona qualunque con una testa e un cuore”. E nel contempo, che leggo e rileggo, queste parole masticate tra lacrime e rabbia, ripenso ai versi di una canzone di De André, Città vecchia, “se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”. E penso anche al volto triste del poeta davanti alla sua città, a quei corpi maltrattati, ai sogni violentati. Quegli stessi corpi e quei stessi sogni che Cacucci ha voluto far rivivere.

Ormai è fatta.


Puoi leggere questo articolo sulla rivista Letteratu.

mercoledì 22 maggio 2013

Festival della Letteratura di Milano: la seconda edizione dal 5 al 9 giugno




La cultura letteraria, soprattutto negli ultimi anni, ci ha abituati ad abbandonare il nesso mitico sul quale, per quasi due secoli, si è fondata la letteratura ovvero quello che Luperini chiama letteratura-identità nazionale-storia. Travolti da un sistema che spesso mette alle strette il sapere, spalmato tra i settori tecnologici, assistiamo ad un periodo culturalmente contraddittorio.

Eppure vi sono manifestazioni del sapere che rispondono positivamente al racconto letterario cui la tradizione ci ha abituati. Il Festival della Letteratura che si terrà a Milano dal 5 al 9 giugno, arrivato alla sua seconda edizione, è tra queste manifestazioni. Milton Fernàndez, ideatore e direttore artistico, racconta i motivi che stanno alla base di tanto impegno (che, è bene ricordarlo, non è stato finanziato da "potenti fondazioni o grandi gruppi editoriali"): "l’idea che la cultura sia un patrimonio comune, alla stregua dell’acqua, o dell’aria che respiriamo. Che sia un nostro dovere batterci per preservarla. Per questo ci siamo messi in marcia, un giorno, quasi due anni fa".

L'atmosfera del Festival della Letteratura si respira anche da un programma denso di appuntamenti. Cinque giorni che vedranno nei luoghi della cultura di Milano il coinvolgimento, per la seconda volta, del pubblico aprendo la strada al dialogo e al confronto.

Come dice Borges, citazione ripresa da Milton Fernàndez, "la speranza è un dovere. Alle volte arduo, ma sempre un dovere". 

domenica 19 maggio 2013

Copertina d'artista.


Quando sono stata a Londra ho avuto paura di salire sulla ruota panoramica, London Eye. Mi capita spesso di aver paura dell'altezza. Più si va in alto e maggiore è il distacco dalla terra. E' come perdere il controllo del proprio corpo, alla mercé dell'eventualità. Il coraggio... è quello che uccidiamo con le parole. E a volte con lo sguardo.  

sabato 18 maggio 2013

Twitter e il volto del Giornalismo Digitale



Questo articolo è uscito sulla rivista Caffè News.
Stiamo vivendo uno dei periodi più floridi dal punto di vista della quantità di informazioni. Ci sono informazioni ovunque. Le ritroviamo sui giornali, in televisione, alla radio oppure basta accendere il computer o dare un’occhiata al nostro cellulare per essere catapultati in una matassa tanto intricata di notizie da spaventare anche il più tenace degli utenti, annichilendo i suoi propositi iniziali sul bisogno di avere informazioni su un fatto. La quantità è anche indice di una smisurata varietà. Abbiamo accesso, ovunque e in qualsiasi momento, a informazioni di qualsiasi tipo, che toccano gli argomenti più disparati.
Continua la lettura: http://bit.ly/11MC1bK

venerdì 17 maggio 2013

Pecore nella nebbia, Sylvia Plath




Pecore nella nebbia

Le colline digradano nel bianco.
Persone o stelle
mi guardano con tristezza, le deludo.
Il treno lascia dietro una linea di fiato.
Oh lento
cavallo color della ruggine,
zoccoli, dolorose campane.
E’ tutta la mattina che
la mattina sta annerendo,
un fiore lasciato fuori.
Le mie ossa racchiudono un’immobilità, i campi
lontani mi sciolgono il cuore..
Minacciano
di lasciarmi entrare in un cielo
senza stelle né padre, un’acqua scura.

Sylvia Plath

giovedì 16 maggio 2013

"Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno" ovvero, guardando Kafka



Da giorni sentivo il bisogno di riprendere in mano l'ironica ed entusiastica scrittura di Philiph Roth, la delicatezza connotativa, l'instancabile necessità di conoscere, la sapienza letteraria. E l'ho fatto con un libro tradotto da Norman Gobetti, edito per Einaudi nel 2011 "Ho sempre voluto che ammiraste il mio digiuno" ovvero, guardando Kafka.

Intorno alla primavera degli anni Settanta, Philiph Roth si recò a Praga dove conobbe Milan Kundera ed altri scrittori oppressi dalla dittatura comunista. La conoscenza di tale disperazione e solitudine lo colpì molto avvicinandolo ancor più alla figura di Kafka, uomo prima ancora che scrittore. Successivamente conobbe Vera Saudkova, una delle nipoti di Kafka. Fu lei a raccontare a Roth della famiglia di Kafka, la madre e le due sorelle morte ad Auschwitz. Lei gli mostrò le foto e i suoi luoghi di lavoro. Qualche anno dopo, Philiph Roth si recò a Londra dove conobbe Marianne Steiner, un'altra nipote, figlia della sorella Wally.

Guardando Kafka appare come un accurato dipinto di uno dei maggiori scrittori del primo Novecento, una sorta di testamento elaborato da un caro amico di Kafka. Il lavoro di Roth, le ricerche e la profonda conoscenza delle sue abitudini quotidiane oltre che delle opere, comprese quelle incompiute, riempiono le pagine di immagini suggestive, cadenzate da uno stile asciutto e nitido.

Se nella prima parte Roth dipinge la figura di Kafka con un linguaggio saggistico incline, tuttavia, ai sentimenti e alle fascinazioni, facendo leva sul vuoto emotivo che accompagnò, fino alla fine dei suoi anni, la vita stessa di Kafka, nella seconda parte la magia di una narrativa a metà tra realismo e invenzione apre le porte a uno scenario attraente in cui la rielaborazione della vita di Kafka si intreccia a quella di Roth stesso. E' qui, a mio avviso, che si scorge l'acume e la finezza letteraria ai quali, per anni, Philiph Roth ci ha abituati.

martedì 14 maggio 2013

venerdì 10 maggio 2013

L'impronta dell'editore di Roberto Calasso




Questa recensione è uscita sulla rivista Caffè News

Studiando la Storia dell’editoria italiana dal 1945 al 2003 di Gian Carlo Ferretti (Einaudi, 2004) si viene a contatto con un racconto intenso pur nella sua agilità sintattica. L’atteggiamento prosaico di Ferretti ha affascinato molti studenti ma ne ha allontano altrettanti, convinti, questi ultimi, che i suoi modi fossero imputabili al mantenimento di un rigore estetico non riproducibile nei fatti. Ad ogni modo i suoi corsi sono sempre stati quanto di più geniale e meraviglioso potesse offrire un piccolo e silenzioso ateneo come poteva
essere quello parmense agli inizi del nuovo millennio.

L’impronta dell’editore di Roberto Calasso (Adelphi, 2013) ripercorre lo stesso rigore formale arricchito da un’aneddotica personale e da una narrazione diaristica che spinge il lettore ad accogliere un modo di fare saggistica a metà fra sperimentazione e romanzo [...]


Sulle Biblioteche e il Valore dei Libri.



M’inganneranno, forse, la vecchiaia e il timore, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.

Jorge Luis Borges


giovedì 9 maggio 2013

Più lontano ancora di Jonathan Franzen.



Questo articolo è uscito sulla rivista Letteratu.

Quando ho preso in mano il libro di Franzen non ho pensato alle conseguenze emotive che avrebbe avuto su di me. E non ho pensato neppure alle difficoltà che avrei incontrato scrivendone. Le difficoltà nascono dal fatto di essere di fronte a una raccolta di meditazioni che assume il profilo di un racconto diaristico nel quale l’esperienza umana dello scrittore si confonde (talvolta lasciando il posto) con quella dell’uomo.
L’urgenza con la quale Franzen delinea il contorno della sua persona è la stessa urgenza con la quale ricerchiamo una corrispondenza fra la situazione ontologica personale e il contesto collettivo.

Continua la lettura: Più lontano ancora: l’infinita umanità raccontata da Jonathan Franzen http://bit.ly/11VwvOX

martedì 7 maggio 2013

Tama: musicalità trasognante nei quadri dell'artista giapponese

Tama è un'artista giapponese che lavora prevalentemente con acquerelli. Il tessuto narrativo delle sue opere è collocato in una struttura dionisiaca in cui la trasfigurazione della realtà nella dimensione simbolica tenta di annullare quell'equilibrio archetipico attraverso il quale la musicalità trasognante dei suoi quadri sbalordisce l'osservatore.  







lunedì 6 maggio 2013

Random








Le immagini più significative, personalmente parlando, scovate sulla rete, in particolare su Tumblr. Si passa da Keith Haring (anniversario della nascita è il 4 maggio) alla street art, dalla flora all'immagine di apertura, The Dreamers di Anna Batryn che dedico a mio marito (@niccotnt): lui pesca sogni e io li cerco

E un video. MGMT, Time to Pretend


domenica 5 maggio 2013

Simbolismo e astrattismo cromatico nei quadri di Afro



Qualche anno fa, il 22 aprile del 2004, presso la Finarte in via Margutta a Roma, ho assistito all'interesse artistico di alcuni galleristi per le opere di Afro. La stima di Finarte era fuori mercato. Difatti le opere vennero vendute a una cifra di gran lunga maggiore rispetto la stima. Nel valore di un quadro di Afro è insito il simbolismo e astrattismo cromatico che ha caratterizzato il suo lavoro dai primi decenni del Novecento per tutta la sua carriera artistica.

L'esperienza di Afro, che ha toccato gli ambienti milanesi e romani per poi sposare la linea cubista e le tendenze artistiche di De Chirico e ancora, non soddisfatto, riconoscersi in una linea nuova, non più ancorata alla tradizione ma che la racchiude in una visione estatica musicale e trasognata, si riassume nella ricerca di armonia tra luce e colore, una ricerca a tratti esasperata, calata in un assolutismo personale che sfocia in uno stato di coscienza possente. 

Afro scava nella conca atavica dove trovano rifugio le idee mitiche e  archetipiche corrispondenti ad una universalità umana e sociale nella quale lo stesso artista si riconosce, alla maniera di Gorky, il pittore del quale ha risentito le maggiori influenze.