martedì 31 luglio 2012

Poema a Fumetti. Le molteplici chiavi di lettura per la graphic Novel di Dino Buzzati


Oltre la Graphic Novel. Riletture.

"Qui non siamo più nella letteratura, ma nella pittura. Questo sconfinamento non è, per Buzzati, una novità". Così scriveva Indro Montanelli nel 1969 sul Corriere della Sera recensendo Poema a Fumetti di Dino Buzzati. E difatti di sconfinamento si tratta e proprio quando il lettore è pervaso dalle parole che liberano le formalità (cui Buzzati è sempre stato contrario e agguerrito contestatore) dalle catene del perbenismo, la sua attenzione viene catturata dalle immagini, dalle tavole disegnate dallo stesso scrittore bellunese (milanese d'adozione).

Vi sono molti modi di entrare in Poema a Fumetti, quelli che prediligo mettono in evidenza i riferimenti artistici e letterari dell'opera e l'erotismo delle tavole. Si può iniziare delineando la figura di Neghittosa (p. 172), simbolo della donna pigra e sensuale, che la ritroviamo in un opera teatrale interpretata da Paola Borboni. Il canto di Orfi (p. 126) presenta un chiaro riferimento all'Urlo di Edvard Munch mentre il pianoforte (p. 163) è un rimando agli orologi liquidi di Salvador Dalì. A pagina 93 invece c'è una forte allusione a René Magritte. L'esaltazione erotica, talvolta pornografica (voluta ed esibita, ricercata e mai osteggiata), tanto da suscitare le critiche (e i silenzi) di una parte della critica dell'Italia di fine anni Settanta ancora poco incline al nudo esplicito, ricalca i disegni erotici di Hans Bellmer

L'erotismo, così come Buzzati lo rappresenta in Poema a Fumetti, non deve far pensare ad un atteggiamento disimpegnato quanto ad una ricerca, anche in chiave erotica, di un mondo parallelo all'insegna della fantasia creando una via alternativa all'avanguardia e al realismo. L'erotismo si intreccia all'amore e trova la sua massima espressione nell'attualizzazione del mito di Orfeo e Euridice. Attraverso un linguaggio giovanile, preso in prestito dalla pop art (così come lo stile delle tavole), il mito di Orfeo e Euridice viene addomesticato e reinterpretato secondo i canoni della società dell'epoca, letto come una favola d'amore in cui, accanto all'amore, trova spazio anche la malattia e la morte. In una Milano tutta grattacieli e nostalgia, Orfi e Eura si scoprono amanti nella vita e nella morte.

Altra chiave di lettura che trovo interessante approfondire è Milano, "livida e sprofondata per sua stessa mano" scriveva Ivano Fossati. E qui un aspetto simile Milano lo conserva proprio. Via Saterna (la stessa strada di Laide in Un amore) è rappresentata come una zona buia e misteriosa e, non a caso, è proprio qui, dimora di Orfi, che avviene il passaggio agli inferi. La nostalgia che sprigiona dalle pieghe della città è dovuta ad un continuo e costante rimpianto per tutto ciò che il capoluogo lombardo ha rappresentato nel corso degli anni. Accanto a questo sentimento vi è anche una punta di risentimento per ciò che ha reso la città invisibile e degradata, un degrado che coinvolge anche la società e non solo l'ambiente. 

Poema a fumetti non è solo una graphic novel di un grande scrittore e giornalista del panorama letterario italiano, ma è anche una "guida" (usando le parole di Beppe Severgnini durante la presentazione nel settembre del 2009 alla Mondadori Multicenter di Milano) che va letta più volte: "prima per la storia, poi per i disegni e infine per la Milano rappresentata e descritta. Penso che Milano sia più poetica ed emozionante di Firenze, se guardata con gli occhi di Buzzati".

lunedì 30 luglio 2012

Digital Journalism. Quale futuro e quali spazi per i giovani giornalisti

Editoria e Giornalismo Digitale


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Settimanale online cerca collaboratori per ampliamento della redazione per le sezioni attualità, politica, esteri, economia, cultura, tecnologie e webtv. Si richiede conoscenza delle tematiche trattate dalla testata, predisposizione all’analisi dei fatti e all’esposizione con un linguaggio chiaro ed efficace. Ambiente giovane e dinamico. La collaborazione si intende gratuita.

Per start-up giovane e in fase di sviluppo , cerchiamo collaboratori che possano occuparsi della gestione di alcune sezioni del magazine. Precisiamo che il magazine è in fase di start up e non prevediamo nell'immediato una forma di retribuzione ma solo a partire eventualmente da ottobre/novembre. Cerchiamo una persona con esperienza in ambito editoriale e soprattutto digitale. Massima professionalità. 

Per nuovo magazine di moda e lusso in fase di start-up cerchiamo una giovane giornalista professionista massimo 31/32 anni con ottime conoscenze della moda, del lusso e del life-style (arte,cinema,viaggi,design,etc) che abbia intenzione di guidare uno staff redazionale giovane. L'intento è quello di registrare la testata tra qualche mese e inserire la persona come direttore. Attualmente non c'è un compenso immediato ma chiediamo un investimento momentaneo di energie. 
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Quanti sono gli annunci di questo genere che si trovano sulla rete? Decine? Centinaia? Impossibile avere una stima precisa in quanto sono troppi. Lo sforzo che viene richiesto per svolgere queste mansioni non investe solo la sfera delle conoscenze e abilità personali, lo studio e l'acquisizione di quel bagaglio di esperienze che contraddistingue ognuno di noi e ciò che, negli anni, siamo diventati; quello che, ormai, viene richiesto è "un investimento momentaneo di energie" che non prevede alcuna retribuzione. Ecco, credo che il problema stia proprio nell'accostamento delle parole: investimento momentaneo di energie - nessuna retribuzione. Sta dilagando un pensiero comune, viziato e irrispettoso, che ci si possa nascondere dietro al progetto in "fase di start-up" per giustificare la mancata retribuzione, il mancato contratto di stage e, nei casi più eclatanti, il continuo afflusso di stagisti all'interno di redazioni in cui il numero di assunti a tempo indeterminato è pari a zero.

In una situazione come questa non è solo il codice giuridico ad essere infranto ma anche, e soprattutto, quello etico. Perchè le sviste, le incomprensioni, gli errori involontari, i "non lo sapevo" che si aggiungono, sarcastici, alla lunga lista di nefandezze creano degli ambienti lavorativi caotici, poco stimolanti, poco aperti al reale investimento, quello che punta sulle risorse qualificate, sul valore aggiunto, sulle idee innovative, ambienti poco attenti a contraddistinguersi dal rumore generale, ambienti, quindi, dove chi lavora deve dare tutto se stesso, investendo energie in un'attività che, a queste condizioni, non solo non crescerà in termini di qualità ma non apporterà nessun miglioramento personale negli stessi dipendenti, i quali saranno più sfiniti e sviliti di quando hanno iniziato a lavorare.

Durante Dig.it, il primo incontro nazionale dedicato al giornalismo digitale svoltosi a Firenze il 4 e il 5 luglio, Damiano Celestini ha proposto l'inserimento della voce "volontariato" nei portali di ricerca per il lavoro. "L'online in Italia è ancora oggi una zona d'ombra in cui gli editori pensano di poter fare di tutto. Vi basti prendere un portale per la ricerca di lavoro e tra le offerte vedere che quasi tutte non prevedono retribuzione. E il 90% (mi tengo basso) riguardano testate online o fantomatiche tali. Però ti diamo visibilità, dicono. Con la visibilità non ci pago le bollette. Sarò strano io". Credo che le parole di Celestini siano esplicative della situazione che stiamo vivendo in molti. 

Dare visibilità sembra richiamare un linguaggio, e quindi un mondo, che non rappresenta i giornalisti e futuri tali. Ed ecco che mi ritornano in mente le parole contenute nella lettera inviata al direttore di Repubblica, Ezio Mauro, da fotografi e videoreporter (presentata anch'essa a Dig.it): "quello che voi proponete come qualcosa a metà tra il gioco e il talent show, c'è chi lo fa ogni giorno, a volte da molto prima dell'alba fino a molto dopo il tramonto, e che non lo fa per essere giudicato da un big (per continuare con il linguaggio dei talent) e nemmeno per vedere il proprio nome su un giornale, ma per pagare un affitto, per pagarsi il cibo… insomma per vivere e, soprattutto… per informare".

Offrire visibilità anziché un contratto, contributi, ferie, permessi brevi e lunghi, l'insieme dei diritti che distinguono il lavoro dignitoso prerogativa di un Paese che vuole far parte delle potenze più industrializzate del mondo, è un'oltraggio alla professionalità, alla volontà, all'entusiasmo, all'impegno e anche allo studio, alle energie che, da anni, impegnamo per fare questo mestiere, per diventare, ogni giorno, migliori, per imparare qualcosa in più perchè non ci possiamo permettere di fermarci e di sentirci arrivati. Mai.

Nel 2010 Jemima Kiss scriveva su The Guardian: "longer hours, more pressure, decreasing quality and less enjoyable work. Old media is a dark, dark place for journalism - at least that's the mood of many of the journalists who were interviewed for the annual Oriella digital journalism study". Nel nostro Paese si può parlare di aumento o abbassamento della qualità? O forse è meglio usare la parola, in un contesto come quello appena descritto, di mutamento della qualità? Non stiamo forse assistendo al passaggio da un'informazione elargita da pochi a un tipo di informazione libera e facilmente reperibile ma le cui fonti, spesso, non presentano delle fondamenta sicure? Sia chiaro, non c'è nessuna nostalgia nei confronti dell'informazione gestita da un gruppo ristretto di persone, tuttavia non posso neppure trovarmi schierata dalla parte di coloro che, seguendo la logica della visibilità, pubblicano notizie senza curare ciò che rappresenta l'anima della notizia stessa: le fonti. 

Sono le stesse redazioni (non tutte per fortuna) che, pur di arrivare prime, elargiscono con troppa generosità informazioni dove la cura e la precisione della fonte lasciano il posto allo scoop e al becero pettegolezzo. Gli stessi caporedattori insistono perchè vengano prodotte notizie volte non tanto ad informare quanto ad attirare un numero sempre maggiore di visitatori unici sulle pagine della loro testata sperando in una considerevole quantità di click.

Come può quindi un giovane giornalista distinguersi, prendendo le distanze da questo tipo di redazioni? Giuseppe Granieri ha provato a chiarire la questione nell'articolo 5 cose che un giornalista moderno deve imparare, dichiarando che "stanno cambiando i tempi, sta cambiando la professione, sta cambiando il modo in cui la gente accede alle notizie. E questo obbliga i giornalisti a cambiare, ad aggiornare molto le competenze, le skill necessarie per continuare a essere competitivi e consapevoli nel proprio lavoro. Il mestiere così come lo conoscevamo serve sempre. È sempre molto importante. Ma non basta più. A mio modo di vedere ci sono almeno 5 aree su cui la competenza del giornalista, oggi, deve aggiornarsi ed entrare in apprendimento continuo".

In Gli asset del giornalismo moderno, Granieri sottolinea l'importanza, per il giornalista digitale, di interagire, avere dimestichezza e maneggiare senza problema alcuno l’information overload e i social media: "il giornalista oggi deve essere capace di porsi qualche passo avanti rispetto al suo pubblico nel dargli una comprensione (io preferirei «visione») di un percorso nella complessità informativa".

Essere in uno stato di apprendimento continuo implica, come dicevo prima, un atteggiamento vigile che non permette di sentirsi arrivati in nessuna situazione. Resta comunque aperta, almeno allo stato attuale, la questione sul futuro dei giovani giornalisti, sullo spazio che, il frastagliato giornalismo digitale, relega a chi vuole intraprendere questo mestiere.


venerdì 27 luglio 2012

Antropomorfismo nelle opere di Cathie Bleck


Quadri d'Autore

Conoscevo le opere di Cathie Bleck anche se le ho sempre considerate qualcosa di lontano dal mio modo di vedere e percepire l'arte forse per l'approccio, tanto suggestivo quanto disarmante, dell'artista nei confronti della mitologia egiziana, l'interesse spasmodico per le popolazioni mesopotamiche, la culla della civiltà. Oltre a questo mi lasciava senza fiato la sua capacità di approfondire e carpire, anche con un solo tocco di pennello, gli aspetti più reconditi dell'animo umano.

Sondare il terreno dell'immaginario collettivo svelandone segreti e nefantezza, forse questo è ciò che più mi attrae dell'arte di Cathie Bleck lasciandomi, tuttavia, un senso si spaesamento nei confronti dell'infinita grandezza cosmica indagata dall'artista

Figlia d'arte, Cathie ammette, durante un'intervista con Gwynned Vitello, quanto sia difficile scindere ciò che è innato dalle influenze e da tutto ciò che le è stato tramandato, esplicitamente o meno, dai suoi genitori. L'ambiente creativo e stimolante nel quale ha vissuto, la varietà e molteplicità di materiali con i quali i genitori le permettevano, fin dalla tenera età, di giocare sperimentando le prime fantasie oltre alla possibilità di creare e ricreare, di progettare, di riciclare materiale ha permesso a lei (e ai suoi fratelli) di concepire la realtà come un mondo paradisiaco nel quale non vi sono restrizioni all'immaginazione. Tutto ciò che la mente pensa può essere creato.

Cathie, nella stessa intervista, racconta anche del profondo senso etico e del rispetto per la natura oltre alla ricerca della bellezza come valori sostenuti a gran forza dalla sua famiglia. "Sensuality is not a human characteristic: it's reflected in nature all around us in the sinuous forms of trees, delicate ferns and sumptuous fruit" asserisce Cathie Bleck parlando con Vitello.
La natura e gli animali diventano il riflesso delle esperienze umane, in particolare gli uccelli sono simbolo della libertà, delle molteplici possibilità che l'uomo ha a disposizione. Sono gli spiriti indomabili e liberi che stanno dentro a ognuno di noi, quella parte del "noi" collettivo che non si ferma, che valica confini, osserva dall'alto, scruta e, talvolta, ostenta.

Il misticismo lirico di cui è pervasa l'arte di Cathie Bleck indaga, con lucidità e razionalità, i più importanti aspetti della civiltà umana in chiave allegorica, utilizzando una simbologia universale che richiama la mitologia, l'antropomorfismo e la trascendenza.

Il Pop Surrealism di Caia Koopman


Arte Pop Surrealista

Mi sono occupata di Caia Koopman in occasione dell'inaugurazione della mostra, Between Wind and Water, presso la Think Space Gallery insieme a Sarah Joncas. Oggi vorrei approfondire il discorso sulle sue opere, sul pop surrealism che sprigiona dalle sue tele, ispirata soprattutto dal fatto che il nuovo numero di Juxtapoz Magazine si apre proprio con un suo recente quadro.

Caia Koopman si è imposta sulla scena pop surrealista internazionale come una delle artiste che meglio rappresentano questa avanguardia artistica. I suoi trascorsi nell'ambiente dello skateboard e snowboard l'hanno portata a sviluppare una vivacità cromatica e originalità tematica che si alternano e completano un'arte dedita al surrealismo in chiave pop.

Amo la femminilità dei suoi quadri, il lato sensuale che si sposa con gli aspetti macabri delle sue tele, gli occhi severi ma al tempo stesso dolci e maliziosi delle protagoniste (tutte femminili) delle sue opere e poi quel mosaico di elementi che alternano sapientemente la bellezza romantica al fascino spregiudicato e irriverente.  

La cura e la precisione dei dettagli, l'eleganza, l'aura sacrale che avvolge, come una soffice nuvola, le protagoniste dei suoi quadri, la femminilità e la forza della donna hanno annoverato Caia Koopman tra le maggiori rappresentanti femminili del pop surrealism internazionale



















Storie della "mia" gente



Se c'è una cosa che mi graffia lo stomaco è accettare la sconfitta come un fatto ineludibile e incontrastabile, qualcosa che è aggrappato alla propria esistenza come un neonato si aggrappa, per istinto atavico, alla madre. Questo sentimento che mi morde dentro lo provo ogni volta che torno al paese. Come suona romantica ma al tempo stesso desueta -antica ma con una patina di valoroso orgoglio- l'espressione "tornare al paese". Eppure mi sembra che l'espressione calzi a pennello per descrivere quel viatico che precede  - e accompagna- il mio viaggio.

Ora che sono immersa nel verde abbagliante della pianura, circondata da campi di grano e cullata dal canto delle cicale, mi sembra lontana anni luce Roma, il suo traffico, il delirio mattutino, la frenesia, l'instabilità - di ogni tipo, forma e dimensione- mi sembra lontano tutto; oppure tutto così stranamente vicino da chiedermi perchè non mi sia trasferita a vent'anni anziché ventiquattro.

Nascere in un paese come il mio preclude tante possibilità, alimenta le illusioni e porta alla chiusura -mentale e culturale- verso qualsiasi altro tipo di esistenza, qualsiasi altro mondo al di fuori del recinto di erba che circonda queste case.

Nonostante queste osservazioni, c'è chi vorrebbe far credere di essere nato proprio per mettere radici qui. Ieri ne ho avuto la certezza. Incontro una signora piccola e tarchiata, tutta scura. Capelli, occhi, carnagione, anche le unghie delle mani e dei piedi sono scure. Mi si avvcina, parliamo. Abita davanti a mia madre. Il corpo ondeggiante per la mole budinosa di grasso e vene mi terrorizzava da piccola, una paura che, nel corso degli anni, si è trasformata in una fumettistica fantasia -la trovavo simile alla teiera nel cartone La bella e la bestia-  e per questo mi metteva allegria.

La sua presenza esuberante vicino alla mio piccolo e insignificante corpo mi ha riempito di gioia e mentre mi faceva domande di ogni tipo - rispondevo vaga e senza riflettere troppo sulle mie parole- ricordavo le fantasie che hanno alimentato la mia infanzia relativamente alla sua persona.

Una frase, tuttavia, ha attirato la mia attenzione: "gli inverni sono lunghi senza mio marito. E pensare che siamo andati d'accordo senza nemmeno conoscerci. E' andata così, cosa vuoi". Ho chiesto spiegazioni a mia madre. Scopro che Lidia e il marito si sono conosciuti il giorno prima del matrimonio. Lei era originaria della provincia di Catania. Tramite un "mediatore", che ha mostrato le fotografie di entrambi alle loro famiglie, è stata decisa la data del matrimonio. 

Lidia mi chiede come mi trovo a Roma, se sono stata al mare -che è vicino, lo sai?-, mi chiede anche se sono stata a Catania o nei dintorni -vai, perchè è bello, è proprio bello- e gli occhi le si riempiono di lacrime, si fanno piccoli, due perle scure e lucide, destinate a scomparire. 

Lidia non è la sola ad aver subìto le pressioni psicologiche di un Paese che si crogiola, da anni, nelle proprie  personalissime e ottuse tradizioni. Il volto di Lidia, quell'espressione rassegnata e nostalgica. l'ho ritrovata anche in altre persone e chissà in quanti altri la rivedrò. 

Mi metto seduta in terrazza, i piedi poggiati sulle piastrelle rosse e calde, le mani incrociate dietro la nuca e ripenso ai versi di una poesia di Garcia Lorca, letta poco fa, "Cicala! beata te, che sei ferita dalle spade invisibili dell'azzurro".


martedì 24 luglio 2012

Una valigia di libri

Editoria e Libri

Sto preparando la valigia, per la seconda volta, e il dilemma "quale libro portare" non mi abbandona anche perché il 24 agosto, data in cui farò ritorno a Roma, è lontano. Su twitter in questi giorni ho letto di case editrici che proponevano gli esordienti rispetto ai classici o ai grandi autori, alcuni lettori invece suggerivano i libri divertenti, oppure i fumetti, riviste di viaggio, guide turistiche per non parlare delle decine e decine di ebook nel proprio Kindle. Per adesso questo è ciò che mi porterò in vacanza:






Ho grandi aspettative nei confronti dei Racconti di H.P. Lovecraft e ho la certezza assoluta che non verranno tradite, anzi l'ammirazione che già nutro per il maestro del gotico aumenterà ancor di più. Sicuramente leggerò questi racconti in certe serate contemplative e silenziose mentre sarò in montagna.














Tondelli me lo porto nel cuore, per svariate ragioni personali che vanno dal premio, nel lontano 2006,  in onore del grande scrittore di Correggio al legame viscerale che mi lega all'Emilia, terra in cui ho vissuto per ben cinque anni, quelli universitari, ruggenti e graffianti -anche se non paragonabili agli anni settanta ma, per me, anni ugualmente rivoluzionari- e che mi hanno, successivamente, portato a vivere nella calda e solare Romagna in un furgone, in riva al mare. 









Verso Diario di una battutista di Lia Celi ho molta curiosità non solo perchè voglio assaggiare qualcosa in più della scrittura di questa autrice (la trovate sul Fatto Quotidiano, sul mensile Insieme e in giro per i social network) ma anche perché l'ebook fa parte di un esperimento letterario digitale inaugurato dalla casa editrice 40k che ho ammirato.












La mia grande passione -pop art, pop surrealism, street art e graffiti- me la voglio portare anche in vacanza e ho scelto questa monografia della Taschen che è la più completa, almeno per i contenuti che sto cercando. 


  

lunedì 23 luglio 2012

La grammatica della fantasia di Gianni Rodari a confronto con il processo creativo di Souther Salazar

Favole e Fantasia

Non c'è ragione di pensare alle favole e alle filastrocche per bambini come un sottogenere letterario, e non c'è ragione soprattutto dal momento che il nostro Paese ha avuto una personalità abile nel definire la grammatica della fantasia. Mi riferisco a Gianni Rodari. Scomparso alcuni anni prima della mia nascita, ricordo con una punta di nostalgia quanto la sua penna mi ha tenuto compagnia. Durante un'infanzia caotica e disordinata nei ruoli e nelle definizioni, Rodari ha saputo condurmi in un luogo dove la fantasia cavalcava con la ragione [felice espressione utilizzata da Giovanna Barzanò nel volume Ri-leggere Rodari: l'avventura del testo. Se la fantasia cavalca con la ragione, edito da Juvenilia Scuola nel 1983]. 

Gli eventi si rincorrono. Osservando le opere di Souther Salazar la memoria ha ripercorso a ritroso vent'anni, rifugiandosi in una casa in campagna, dove la legna bruciava ogni inverno e i prati erano ricoperti di papaveri all'inizio di ogni estate. Mi accovacciavo vicino ai gradini di casa -abitavo in una grande cascina e la porta d'ingresso risplendeva di verde smeraldo. Era l'unica cosa luminosa dopo il rosso dei papaveri- e leggevo per ore dimenticandomi di qualsiasi cosa mi circondava. Ora, sembrerà un po' strano un raffronto tra Souther Salazar e Gianni Rodari. Chi conosce anche solo la biografia di entrambi si chiederà che cosa avranno in comune un artista che si è formato all'Art Center College of Design in Pasadena e uno scrittore, giornalista, curatore, ideologo italiano, una delle personalità più importanti del panorama letterario italiano. Niente è la risposta più semplice. 

 Eppure partendo da sensazioni e ricordi personali la fantasia rodariana, la libertà delle sue favole, la magia delle parole, quel fraseggio calibrato, studiato e pensato non solo per i più piccoli sembrano caratteristiche affini alle opere di Salazar, artista californiano che esplora la natura di una realtà fantastica: realtà e fantasia due mondi immateriali confluiscono in un mondo avventuroso e totalmente nuovo. La magia dei quadri di Salazar si esplica attraverso personaggi e ambienti che seguono un processo costruttivo creativo basato sui sogni. 

Illustrazioni che possono essere rivolte a bambini ma che affascinano anche gli adulti -e la sottoscritta ne è la prova vivente-, Salazar utilizza molteplici tecniche per dare voce al flusso di coscienza che lo porta a comporre le sue tele: strati collage, acrilico, carta, inchiostro e matita sono gli strumenti di un linguaggio spontaneo e celebrativo del processo creativo. Per coinvolgere ulteriormente l'osservatore Salazar crea sculture e installazioni tra queste ultime famosa è l'installazione di dipinti in scatole e mensole con figure di carta pesta terracotta, attraverso la quale lo spettatore è invitato a scoprire le storie nascoste. 

Se anche voi siete interessati a scoprire le presunte analogie tra le tele e le sculture di Souther Salazar e le favole di Gianni Rodari, sappiate che la sua mostra, dal titolo You and Me (and the Mouse in the Moon)  è presente al Narwhal Projects a Toronto da metà giugno.





venerdì 20 luglio 2012

giovedì 19 luglio 2012

Riflessioni in riva al mare: quadri d'estate con Leonid Afremov

Riflessioni e Quadri d'Autore

C'è sempre qualcosa di sospeso e indefinito, qualcosa che va oltre il comprensibile e l'immaginabile, ed è ciò che accompagna il momento antecedente al tramonto. Non sto parlando in generale, questa sensazione la provo solo quando mi trovo davanti all'infinita solitudine del mare, quella vastità inconcepibile, che mi attrae e spaventa al tempo stesso.

Sono consapevole del fatto che non sto scrivendo in modo tradizionale. Mi spiego meglio. Non sto per niente seguendo la linea che mi ha condotto fin qui dall'inizio (o quasi) di questo blog. Ma è colpa dell'estate. E' lei, questa sinuosa sirena tutta luce e freschezza, che mi invita alla riflessione. Leggevo, qualche settimana fa, su una di quelle riviste di moda che fanno squagliare il cervello, che l'estate è il momento per mettere un punto alla propria situazione professionale o privata che sia. Concordo, anche se più che un punto metterei una virgola per separare tra loro le cose fatte, come avviene nei tag. Nei vari post, mi sto concedo quindi alcune riflessioni, talvolta implicite, circa il lavoro svolto fino a questo momento (e qui non parla solo del blog). 

Tra poco quella medaglia infuocata si tufferà nel mare e del sole non resterà che un pallido languore sulla superficie dell'acqua. Le ombre si allungheranno e per me sarà il momento di preparare il biberon per mio figlio. 
Non so a voi, però a me tutta quest'acqua mi piace e mi inquieta, come detto sopra mi attrae e mi spaventa. 

Oggi pomeriggio, mentre le cicale si davano da fare per disturbare il sonno di mio figlio, guardavo alcuni quadri e fra tutti uno in particolare mi ha colpita perché, presumo, racchiuda tutto ciò che sento in questo entusiasmante e frastornato momento della mia vita.


L'artista si chiama  Leonid Afremov.

Ps: ho scritto questo post verso le otto e mezza.

Le illustrazioni di carta di Yulia Brodskaya


Illustrazioni e Graphic Design

In tutto quello che scrivo, così come in tutto ciò che faccio, cerco sempre un'affinità con il mio modo di essere. Non sono sempre scelte consapevoli, molte volte (direi quasi sempre) la scelta viene dalla pancia, da una istintiva voracità verso l'arte e la letteratura ma potrei ampliare l'espressione alle cose attraenti.

Ebbene davanti alle opere di Yulia Brodskaya, sono rimasta estasiata sia per la cura del dettaglio sia per la creatività e la fantasia sprigionate da ogni singolo risvolto delle sue inimitabili opere d'arte. E non a caso parlo di risvolto, in quanto Yulia Brodskaya lavora la carta, quella colorata, coloratissima, studia le combinazioni tra i colori primari e secondari, rielabora ciò che la sua mente ha partorito, costruisce, crea, disegna, inventa. Ogni singolo tassello cela la volontà di stupire e meravigliare l'osservatore ma anche di infondere una sensazione di totale benessere attraverso la scelta di tonalità pastello.

Proveniente dalla Russia, Yulia ora vive e lavora in Gran Bretagna dal 2004. Ha studiato diverse pratiche creative che vanno dalla pittura tessile, agli origami, dal collage alle più tradizionali arti. In seguito a un Master in Comunicazione grafica presso la University of Hertfordshire nel 2006, Yulia ha continuato a sperimentare ed esplorare modi per riunire ciò che le sta più a cuore: tipografia, carta e oggettistica artigianale.







mercoledì 18 luglio 2012

Ricordi d'infanzia: L'incontro di Michela Murgia

Editoria e Libri



Prima di trasferirmi a Roma, ero una ragazzina scapestrata, che sapeva poco della vita, rotolavo e giocherellavo con gli stereotipi di quello che allora era il mio mondo, le amicizie si alternavano come le stagioni, gli amori svanivano prima ancora di concretizzarsi, roccia dura che resiste alle intemperie. La vita, in quel mondo, era un abbarbicarsi di eventi che mozzavano le ore, cristallizzavano la noia, rafforzavano ed esaltavano i sentimenti e gli umori, nutrivano le illusioni, ingannavano. Ho deciso, spinta da chissà quale forza, di lasciare quell'apparente idillio per immergermi in qualcosa di nuovo e inaspettato.

I ricordi più dolci, quelli in cui la memoria vi si adagia, posandosi leggera e aspettando l'alba, riemergono nelle notti insonni, quelle rare ma preziose ore in cui il letto si trasforma in un giaciglio caldo e protettivo e io sono in balia di momenti che pensavo aver dimenticato.

Alcuni dei ricordi più frequenti sono i giochi che facevo da bambina con i compagni di classe. Ci si incontrava al parco, quello davanti a casa mia, pieno di alberi in fiore, qualche altalena e una giostra. In piena estate ci arrampicavamo sugli alberi e cercavamo di raccogliere il maggior numero di ciliegie possibili. Ricordo anche il canto delle cicale nei pomeriggi afosi della pianura, i compiti delle vacanze al mattino, appena sveglia, le mietitrebbie tra agosto e settembre, i campi di papaveri e quelli di girasole. 

In uno dei suoi racconti Sepulveda dice che non è mai il caso che ci guida verso la scelta di un libro. Ho condiviso quel pensiero e l'ho provato sulla mia pelle con il romanzo di Michela Murgia, L'incontro edito da Einaudi.
La scrittura nitida, meravigliosa, essenziale, descrittiva ed emozionale di Michela Murgia mi ha riportato indietro nel tempo di alcuni anni, quando cioè abitavo ancora nel mio sgangherato paese. 

Le corse di Maurizio, insieme a Giulio e Franco Spanu, sono diventate le mie, il paese che vive delle leggende e dei racconti degli anziani, mi hanno fatto rivivere le serate trascorse all'ombra della sottana di mia madre, seduta su una piccola sedia di paglia ad ascoltare ora questa ora quella litania. Le avventure dei tre ragazzini, i loro sospiri, le paure, il bisogno di identificarsi, l'amicizia da conquistare e coltivare, ha provocato uno squarcio tra i miei ricordi facendo affiorare la moltitudine simbolica della pianura padana che ben si sposa con la Sardegna rurale.

L'incontro è la rivelazione dell'innocenza che si risolve nell'inaspettata creazione e condivisione di un "noi" che riunisce non solo l'intera comunità di Crabas ma soprattutto le vite di Maurizio, Giulio e Franco Spanu che, nell'estate del 1986, percepiscono di essere "fratelli di strada", un legame che conta molto più del sangue. Si condividono le ore, i pomeriggi e le serate; si condividono le avventure nelle fognature della parrocchia alla ricerca di qualcosa che, forse, è solo nella fantasia dei tre ragazzini, si condivide l'indignazione e la rabbia del parroco quando scopre che proprio loro hanno provocato l'incendio alla palma per uccidere le "merdone", si condivide anche la notizia, una scossa di terremoto nella staticità di Crabas, di una tragica quanto inevitabile divisione all'interno della comunità, qualcosa che avrebbe frastagliato il "noi" che da sempre accompagnava ogni evento pubblico e privato e che avrebbe creato un "loro", "quello che non siamo noi".

Il romanzo di Michela Murgia si staglia nel panorama letterario italiano con la forza inaudita di una scrittura piena e consapevole, che si rinnova e affronta, senza reticenza alcuna, tematiche dicotomiche che affondano nell'immaginario collettivo, nei confronti del quali nessuno è immune.

Leggende dimenticate: i paesaggi surreali di Alex McLeod

Arte - Surrealismo

E' il baluginare di un'illusione, il sempiterno mistero, la ridondanza, mai eccessiva, di un'arte che attinge ora agli aspetti più criticati e criticabili del surrealismo ora al mondo virtuale e fantasmagorico dei videogiochi. Alex McLeod, canadese di origine, si destreggia tra photoshop, effetti speciali, definiti iper-surrealisti, pop art e kitsch.

Se l'atmosfera delle opere di McLeod si rifanno all'arte di Takashi Murakami, mi è sembrato di captare una certa vulnerabilità e suscettibilità ad uno stile forse più attento alle leggi di mercato e ai gusti di un pubblico di massa. Nonostante ciò, McLeod eleva concettualmente le sue opere facendo appello all'immaginario collettivo. 

Questo lo si può notare già dal titolo dell'ultima mostra che ha ospitato le sue opere [Galerie Trois Points a Montreal, nel Quebec, Légendes oubliées di Alex McLeod], alla familiarità verso parole come leggende viene accomunata la "dimenticanza" qualcosa quindi che, personalmente, ha evocato i racconti orali tramandati di padre in figlio, quelle cose che hanno il sapore dell'infanzia e si mescolano con la nostra memoria.

La dicotomia tra passato e presente, reale e irreale creata da McLeod attraverso montagne, laghi brillanti e dense nuvole, sprigiona una tragicità contemporanea dovuta alla staticità e all'apparente "mancanza di carattere" dei paesaggi. Un velo di speranza viene, tuttavia, accennato da McLeod nei pochi palazzi e grattacieli che osservano l'innaturalezza del paesaggi stesso. Una speranza che potrebbe essere letta come una nuova sfida tra gli artifici del mondo virtuale e gli esperimenti provenienti dal mondo umano.

lunedì 16 luglio 2012

Addio all'infanzia: le opere di Maria Gloria Tavanti Tommasi

Riflessioni e Poesia (2)

Di lei non si sa molto, è misteriosa, ma i suoi quadri rivelano molte cose. Ad esempio che ama i bambini e gli animali.
Le bambine dai capelli rossi, abbracciate a morbidi gatti, guardano dritto davanti a loro, fissano l'osservatore con sfida ma anche con una punta di sgomento. Tra le bambine e i gatti c'è una forte intesa, forse un mutuo sostegno per un futuro denso di insidie da affrontare.
L'addio all'infanzia.








Per maggiori informazioni visitate il sito dell'artista www.gloriatavantitommasi.it